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QUESTIONE MORALE E CONSENSO POPOLARE


QUESTIONE MORALE E CONSENSO POPOLARE Tre donne giudicheranno in tribunale Berlusconi. Tre giudici estratti a sorte. Il settimanale cattolico “Famiglia cristiana” ne parla evocando la Nemesi, nome pagano agli antipodi della concezione cristiana della storia, governata non da Fato ma dalla Provvidenza. Eppure quell’antica parola della mitologia greca racconta della credenza molto radicata del sentire popolare di ogni tempo, anche ai giorni nostri.Tre donne in toga giudicheranno l’uomo più potente d’Italia. Questa la Nemesi, la vendetta contro chi calpesta la dignità della donna. La Nemesi, braccio implacabile del Fato, il dio del destino. Anch’essa donna e dea dell’Olimpo pagano, mistero della irrevocabile Giustizia divina.Forma ideale e venerata nelle feste Nemesie ad Atene, eternata nel marmo dal discepolo di Fidia. Quasi forma primordiale dei “corsi e ricorsi” storici, secondo la teoria vichiana della Scienza Nuova.Tre toghe. Non rosse ma rosee. Tre tuniche giudicheranno il Cavaliere che colleziona nei suoi giardini corolle di fanciulle in fiore. “Ma non vedo nessuna Nemesi storica – ribatte il ministro Frattini – nulla da temere se il premier sarà giudicato da un collegio di sole donne”.Di diverso avviso il più accorto on. Pecorella, già avvocato del Cavaliere: “Ho visto un milione di donne in piazza contro il presidente… ci sono reati come quelli sessuali, su cui le donne sono più attente e sensibili”.In quella piazza senza bandiere c’era una donna che ha supplito i silenzi vaticani: suor Eugenia Sonetti. Un boato ha salutato il suo grido contro l’ideologia della donna usa e getta, contro “le notizie di cronaca che si susseguono in modo spudorato e ci sgomentano”.Non è solo questione di giustizia. Siamo di fronte a una crisi più profonda. Assistiamo al cedimento strutturale della politica. Gli ultimi governi non durano più di un paio d’anni. Il bipolarismo all’italiana è un vero fallimento. L’antagonismo irriducibile, il muro contro muro sono la negazione di quel minimo di cultura politica omogenea che sola può rendere governabile un Paese impantanato nell’immobilismo, con un’opposizione che non riesce a trovare una voce comune. La politica del fare si è tramutata nella tecnica dell’annuncio. Il Governo si è messo al traino del Carroccio lasciando Bossi a dettare l’agenda politica, finalizzata soltanto a una riforma federale diventata un colabrodo.Fanno ridere certi signori che cercano d’ignorare la questione morale. Tutti laidamente attenti a non passare, ohibò, per dannati moralisti. Gelosamente rispettosi della presunzione d’innocenza all’infinito, mentre dilaga la corruzione in ogni campo. Le cronache raccontano favoritismi e familismi a tutto spiano. Promozioni e carriere pubbliche per parenti e amanti. Candidature scambiate con prestazioni sessuali. Penetrazione mafiosa nel terreno economico e istituzionale. I Parlamento ridotto a sfornare decreti modellati a misura dell’immunità dei potenti. Nel gergo politico corrente si fa passare per giudice naturale un “tribunale dei ministri” concepito ad usum per aggirare il tribunale vero, quello uguale per tutti, quasi fosse un giudice… innaturale.E al culmine del più feroce scontro polemico ecco farsi strada l’argomento principe, blasfemo, assoluto: “Il popolo continua a votarlo, giudice sovrano è il popolo”.E la questione morale diventa nulla di fronte alla legge del numero. Solo il vizio di chi spia dal buco della serratura. È il popolo che conta, il popolo che continua a votare incurante e tollerante, secondo l’antica italica saggezza.Giova ricordare che molti regimi si reggono sul consenso di massa. E massa erano anche quei 1200 professori universitari che aderirono al fascismo, mentre venivano cacciati quei 12, solo dodici colleghi che ebbero il coraggio di non apporre quella firma. (e tra loro il grande economista Antonio De Viti de Marco espulso e ignorato) .Dov’era la questione morale?Da che parte stava?Con quale di quei numeri così abissalmente distanti?Con Socrate o col popolo ateniese che lo condannò a bere la cicuta? Giuseppe Giacovazzo Editoriale de “La Gazzetta bel Mezzogiorno di Bari” del 19.02.2011