libere parole

la vipera


 Sì, sfidai il serpente. Non so perché. Forse qualcuno me ne aveva parlato, o forse ero io che avevo dato, a quella cosa, un significato particolare. Forse, era per sfidare la morte, cosa che avrei fatto poi molte volte, in seguito, e, questa, è una cosa che fanno i giovani. Se vedevo vipere le ammazzavo, sempre. Avevo venticinque anni e vivevo in Umbria, nei boschi. Ne  avevo ammazzate tante. Con la scusa dei bambini, che potevano mordere i bambini. Da piccolo, sui monti, con gli altri, avevo imparato a farlo. Ne veniva fuori una, e giù sassate. Comunque, non ne avevo nessuna paura. Sapevo bene che bastava evitare di pestare sterpi, dove non si vedeva cosa c'era sotto, e che bisognava battere col bastone, per terra. Che così la vipera scappa.Ma quella volta la sfidai. Forse, era per ristabilire una giustizia col serpente, dopo tante che ne avevo fatte fuori, a distanza, a sassate. E che belle, che erano. Ricordo ancora i colori di alcune. Adesso non lo farei più. Mi sono anche sentito in colpa, per molto tempo. Ma nulla va sprecato, se vogliamo. Ero giovane. Impariamo e paghiamo. Ma quella volta volli sfidarla. La vidi. Era su un muro di pietra, di quelli che formano le terrazze. Avevo il mio bastone, santo bastone, ben dritto, e l'estremità più stretta era tagliata ben piatta, con una minima forcella, credo. Vidi la vipera. Potevo lasciarla andare, stava già andando via. Ma, con la minima forcella, la bloccai, senza farle male, verso la coda. La stavo provocando. Si divincolava, tenuta appunto ferma, più nella seconda metà del corpo che davanti. Non so se volesse già attaccare, una volta bloccata. Non credo. Si divincolava, ma era ancora a buona distanza da me, non correvo pericolo. Allora, avrei potuto, semplicemente, lasciarla andare, e fare un salto, e scappare, allontanarmi. Anche lasciarla andare, lasciar cadere il bastone, andarmene con calma. Ma continuavo a tenerla ferma. Si divincolava, poi volse la testa verso di me.  Allora vidi bene che aveva la bocca aperta. Vedevo la lingua biforcuta, protesa, sibilante. I denti erano estratti. Sollevai il bastone, senza scappare. Ero a tiro. Aspettai qualche secondo. Quella era la sfida. Poteva colpirmi. Puntai allora nuovamente, coll'estremità del bastone, al collo. Per bloccarla ancora, sul muro, e ucciderla. Se avessi sbagliato, avrebbe colpito. Non sbagliai. La bloccai di nuovo, subito dietro la testa, contro il muro, contro una pietra del muro. Schiacciai, con forza. La vidi morire.