Tutta la vita.

II° SOGNO RICORRENTE


Un’acqua gelida e immensa mi circonda, è notte, sono sul fondo del mare, non sò cosa mi dia la forza di reagire, risalgo verso la superficie. C’è una strana luminescenza sul fondo, quasi radioattiva, come mi stacco e risalgo mi volto verso il basso e mi accorgo che il fondo del mare è lastricato di grosse pietre, ma non distinguo, sembrano lapidi, urlo disperato, la bocca si riempie d’acqua, annego, no, non accade. Mentre risalgo mi accorgo che il mare si illumina a tratti, discontinuamente, sono i fulmini di una tempesta in superficie, nel tenue bagliore intermittente, sopra di me, ci sono due capodogli bianchissimi che stanno accoppiandosi. Lo fanno con una dolcezza e delicatezza quasi commovente a dispetto della immensa mole, è straordinario il senso dell’amore che trasmettono, passo loro vicino potrei toccarli, ma non lo faccio, non voglio assolutamente influire o infastidirli. Sento intorno a me una calma assoluta. Li vedo svanire nell’immenso nero del mare, percepisco un senso di dolcezza e malinconia, mi ricordano l’amore che provavo e che ho perso. L’immenso buio mi avvolge e intanto risalgo verso la superficie, mentre dai miei occhi cadono lacrime, le guardo perdersi nelle profondità del mare scuro, lasciano una lunga e sottilissima scia di luce. Arrivo all’aria, sono sotto costa e il mare è una belva, raggiungo a stento la spiaggia e mi accorgo di avere, illuminati dai fulmini, sopra la mia pelle dei condotti che sembrano arterie con dentro un liquido argenteo, ogni tanto si infila una diramazione dentro la mia carne, la luce a tratti illumina uno scenario di enormi scogli, di colore quasi liquido, blu e viola scuro. Sono avvolto gambe braccia collo volto busto e genitali, da quei condotti che sembrano metallo, piove come se fosse un’alluvione.,, sto immobile sotto l’acqua nudo, con la pelle solcata da cicatrici rosso fuoco. I lampi illuminano un sentiero che parte dalla spiaggia, passa in mezzo agli scogli, attraversa prati e boschi devastati dal fuoco e va su di una collina ma non di terra, sono tutti cadaveri, un senso di nausea e la voglia di vomitare sono fortissimi, i miei respiri sono rantoli animaleschi. Guardo i morti, li conosco, so chi sono ad uno ad uno, mi rendo conto di avere in mano un grosso coltello tipo machete e capisco che sono stato io ad uccidere quelle persone, che sono i miei figli, mia moglie, mio padre, i miei amici, le mie fiamme d’amore, i miei nemici, sconosciuti, chi ha attraversato il mio cammino è morto, io l’ho ucciso brutalmente. Ci sono vermi dappertutto, gli occhi dei morti, mi guardano come vulcani spenti. Salgo la collina di cadaveri pestando i loro corpi, i loro volti, piove fortissimo e una voglia di ridere mi viene forte e prepotente ma io non voglio farlo ancora. In cima alla collina c’è un corpo a terra, non vedo se è un uomo o una donna, ma con pochi colpi di machete inferti con bestialità, gli squarcio il torace sul davanti, non dorme, è sveglio, non reagisce, non riesce, il suo volto non ha espressione, sembra sapere che ogni supplica sarebbe inutile. Con la sinistra gli prendo il cuore lo estraggo senza nessun riguardo, tagliando gli ultimi i condotti, lo alzo sopra la testa, è rovente, pulsa, pompa ancora sangue, che mi cola sul volto mentre lo mangio ad avidi morsi, sono inondato dall’acqua e dal sangue che mi cola dalla bocca e mi bagna ormai il collo, il torace, lo stomaco, le cosce. Ora posso ridere, con forza, con crudeltà, sazio. Scendo sfinito la collina, respiro normalmente, ora ho rispetto dei cadaveri che ci sono, ritorno al mare che si è calmato, torno alle mie scure profondità, vado a casa, sulle lapidi.