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« L'oratorio, la mia infanzia.Nel mio errare montano »

Mio nonno

Post n°7 pubblicato il 02 Maggio 2012 da massimofurio

                              Mio nonno, non era mia nonno, ma per me è come se lo fosse stato. Mia nonna era rimasta vedova nel 1936. Del mio nonno naturale, conosco solo il viso, che ho visto in una piccola foto, una faccia da fetente, con un sorriso che mi fece capire molte cose……..genealogicamente parlando. Mia nonna, allo scoppiare degli eventi tragici della seconda guerra mondiale, sfollò dalla zona dove abitava, Sampierdarena, a ridosso del porto (detto dell’impero),di Genova, che veniva bombardato regolarmente dalle forze alleate e si trasferì nell’entroterra, in campagna e lì conobbe mio nonno. I figli di mia nonna, non sopportavano il nuovo venuto, mio padre si era abituato a essere il capo famiglia, aveva smesso di andare a scuola e si era messo a lavorare, cominciò a 9 anni e fini a 75, una vita di lavoro, il lavoro, la sua vita. Mentre suo fratello gracile di salute e timido nell’animo era rimasto a casa con la madre, un’unione tra di loro fortissima e l’intruso non venne accettato ne allora ne mai, ma si sa, estremi mali estremi rimedi, c’era la guerra e mia nonna fece la cosa giusta, si risposò. Mia nonna aveva trovato casa, in un costruzione a due piani, ma lunga una sessantina di metri, con una scala centrale e due lunghi poggioli corridoio che correvano in facciata. La gente del posto lo chiamava manicomio e in effetti un pò lo era veramente, mio nonno venne ad aggiustare le finestre e ci rimase….. Poi dato che c’era un piccolo e bellissimo giardino, si costruì una baracca e lì faceva il suo mestiere, nei periodi invernali il falegname e d’estate, il mastro d’ascia. Dentro questo micro universo c’era tutto ciò che a me serviva per vivere di fantastiche avventure. L’odore del legno che ogni qualvolta lo annuso, nel mio cervello appare mio nonno, con le sue mani lunghe ossute quasi delicate, con la pelle sottile che si vedevano le vene come in una tavola anatomica, mentre intarsia il legno con le sgorbie, o con le piccole asce o mentre fa funzionare la bindella, enorme arrivava al soffitto e a malapena stava dentro la baracca o il toupie, che mi metteva ansia sentirlo nel suo respiro della pialla. La segatura ragnava sovrana, era dappertutto e in quella a terra i formicaleone facevano i loro coni e stavano in agguato in fondo alla trappola aspettando qualche mal capitato insetto per mangiarselo. Mio nonno e i suoi occhi azzurri come un pezzo ci cielo di allora, guardava il mondo come se fosse di legno, toccava, accarezzava il legno con sentimento, come se volesse vederlo ancora nelle foreste sotto lo sforzo del vento. Mi parlava delle immense foreste Africane o nel sud America che aveva visto, aveva prima di tutto rispetto del legno e sapeva fare cose bellissme, le poche che mi sono rimaste sono straordinarie. Ho ingranaggi di varie misure, pale per ventilatori, eliche di aerei, piccole teste umane di bambino scolpite a tutto tondo che usava per arredo dei mobili che faceva nei tempi morti, ho pannelli scolpiti nelle noce massiccia, con figure di animali marini, ho dei bimbi che giocano col cerchio, arredi di credenze da sala, piccoli aerei, piccole auto e camioncini che faceva per me, intarsiati, la Jaguar di Diabolik, con i fari in ottone. Amava il legno era una elemento a lui vitale, guai sprecarlo o far cattivo uso di un pezzo soltanto. I suoi utensili di lavoro erano ferri di chirurgo, i più tanti se li era fatti da solo, li teneva dentro scatole fatte sempre da lui, che solo le scatole erano un capolavoro, teneva i chiodi o le viti di tutte le misure in piccole scatolette di legno, su di un scaffale tutto fatto da lui, era precisissimo. E vie de ottun (le viti di ottone) erano sacre, guai se le perdevo, quando andava da u Bunettu, una Bulloneria che c’è ancora oggi a Genova e quando qualche volta mi capita di andarci rivivo quelle volte con lui, comprava le scatole di viti, che erano bellissime, lucide di tutte le misure, gli brillavano gli occhi, poi arrivati a casa le ungeva con lo straccio oleato, per non farle ossidare, erano come lo sono oggi, costosissime, piccoli gioielli da lavoro. Ma gli odori, mi sono rimasti nel cervello, le essenze che usava per fare le cere o colorare gli stucchi erano tanti e quasi segreti, ogni volta che apriva un barattolo, sembrava un spezsia (farmacista) e mi spiegava la provenienza, da quali radici erano estratte o da che minerale e da che paese provenivano. C’era la carnauba, la collarina, la trementina, la cera d’api, gli acidi, gli oli, di lino, di  nocciole, la gomma lacca sciolta nell’alcool, che scaldava a bagno maria sopra un piccolo fornelletto sempre ad alcool e la stendeva sui mobili con un stoppino fatto di stracci che non perdevano i peli, guardavo quei barattoli aprirsi sotto i miei occhi, vietatissimo toccarli e sentendo le spiegazioni di mio nonno speravo veder venir fuori qualcosa da dentro, un cammello o una tigre, era per me un momento di gioia unica, avevo 9/10 anni. Nella stagione estiva andavamo al cantiere navale dove lavorava, o meglio io scappavo a mia madre e andavo da mio nonno, con la bici. Lì i sogni erano immensi, costruivano gozzi, leudi lunghi anche più di 20 metri, cabinati, completamente armati di tutto e pronti a navigare. Per un bambino cosa ci poteva essere di meglio, la chiglia di una barca di legno la accarezzavo da sotto con le mani, immaginando poi il mare avrebbe fatto lo stesso, carteggiare, piantare chiodi, la colla di coniglio e il vinavil o u mastice, come lo chiamava mio nonno, vedere il legno che si trasformava in un manufatto straordinario. Su tutto c’era mio nonno la sua arte, era incredibile, dava quattro colpi, con una delle sue piccole asce a un pezzo di legno e diventava ciò che serviva a me sembrava una magia impossibile, ancor oggi. Alle spalle il mare che ogni tanto respirava furioso con quelle onde che arrivavano alla statale e sbattevano contro il ponte, lambendo il cantiere navale. Un giorno mentre fissavo il mare insieme a mio nonno e le sue onde che esplodevano sulla spiaggia sabbiosa, mi disse una frase che è stata il mio destino per sempre, in Genovese stretto a fil di voce, stai attento ciò che cerchi è la e un giorno potresti trovarlo. Chissà, aveva capito tutto di me. Gli volevo bene, molto bene. Andavamo a Sampedenna (Sampierdarena), alla veleria San Giorgio, a prendere le vele, era una ditta con dei locali straordinari, dove c’erano le seste in legno delle vele e ogni vela aveva la sua sesta, le vele, venivano cucite da delle piccole donne, direttamente sopra le seste. Per andare e tornare, usavamo u mutucaro, (il motocarro), un vecchio Guzzi corroso dalla salsedine e ogni volta per farlo partire era un’impresa eroica, le bestemmie, ma senza offendere i santi, sarebbe stato bello metterli su Youtube, ad averne avuto la possibilità, le risate che mi facevo. Poi, nel viaggio stavo sul cassone, quelle giornate d’estate a spasso per Genova sul cassone du mutucaro e al ritorno sulle vele, regolarmente scalzo o al massimo in ciabattine di plastica. Quando u barcun (la Barca), come la chiamava mio nonno era pronta, mi faceva divertire a bagnarla, ma solo quando i calatafai avevano finito di catramare le giunte del fasciame, allora in mutande e con la gomma in mano bagnavo tutta la barca, sino quasi a riempirla, serviva a far gonfiare il legno e stagnare il fasciame, anche quando era incrociato, all’ingleise, con un po’ di spregio, come diceva mio nonno, Poi il giorno dopo si svuotava, e si preparava tutto per il varo, che vero varo era, dato che la barca, pesava a volte più di venti tuneè (venti tonnellate), allora c’erano i pasticci e i gotti de muscou (pasticcini e bicchieri di spumante, moscato), poi la barca partiva ed era un momento magico, è veramente un qualcosa che somiglia ad una nascita, la barca tra poco è nel suo futuro elemento, per questo è stata costruita, per andar per mare Gli ultimi colpi ai tacchi, i verricelli tirano e poi prima piano, lentamente la barca và, poi con un rombo, poi il mare la vita e la morte. Subito dopo la si portava al porticciolo lì vicino, dove andavamo a comprare i pesci dai pescatori che tornavano con i gozzi, ora c’è un puzzolente depuratore, e lì, i proprietari o meglio era quasi sempre lo stesso, un piccolo uomo ingobbito, con i piedi di legno, salivano a bordo e si facevano un giretto, ricordo che una volta alla consegna di un cabinato da navigazione da diporto, una signora si mise a ballare scalza, facendo vedere le gambe a tutti. Mio nonno rifuggiva a tutte queste manfrine, ma il titolare del cantiere voleva che ci fosse pure lui, erano sue creature e lui da padre doveva presenziare anche alla festa, a volte veniva anche mia nonna. In inverno, quando era a casa e finiva di lavorare mi raccontava storie di quando aveva navigato, non c’era nessuna lettura che valesse quelle storie, era stato marinaio per molti anni sulle navi a vela e aveva fatto anche la grande guerra in marina. Mi raccontava degli animali che aveva visto in giro per il mondo, i posti in cui era stato, le avventure che aveva vissuto, le persone strane che aveva conosciuto, ora a rigor di logica, credo che qualcuna se la inventasse, ma allora erano prese per vere,mia nonna gli mugugnava, perché forse vedeva che mi impressionavo, in adorazione alle sue parole. Poi mia madre chiudeva bottega e dovevo andare a casa, e a malincuore mia nonna mi accompagnava alla porta e vedo ora  come allora mio nonno che mi strizza l’occhio e ruota l’indice come dire, domani continuiamo, vanni nu te preoccupà. Quanti sogni ad occhi aperti o chiusi ho fatto pensando ai suoi personaggi, fantastici e meravigliosi, a volte c’era la sofferenza e le paure vissute, ricordo quando mi raccontò che sfuggirono per un pelo ai cannibali e ai pirati o quando si salvo dal naufragio, in una notte che erano stati silurati da un sommergibile tedesco. Aveva avuto una vita piena di eventi, ma era rimasto un falegname, in fin dei conti era semplice e buono, il suo cruccio era non essere stato accettato da mio padre e suo fratello. Quante volte l’ho visto ingoiare mortificazioni verbali assolutamente gratuite, quante volte abbracciandolo e gli dicevo nonno io ti voglio bene e lui con gli occhi tristi e bagnati dalle lacrime, mi diceva -vegni annemmu a fa quarcosa- e andavamo nella baracca e facevamo qualche scatola intarsiata o una grattugia per il formaggio e io cercavo di farlo ridere o chiedevo cose che sapevo benissimo, ma lo facevo solo per farlo concentrare su ciò che facevamo, credo che lo capisse. Persino mia madre gli era contro, forse per solidarietà a mio padre. A volte se non c’ero io, finito di lavorare, andava a bere nella società insieme ai suoi amici. Arrivavo a casa dei nonni e la nonna mi diceva -vai a prenderlo tu prima che arrivi tuo papà e che scoppi una lite-, andavo di corsa e quando arrivavo sulla soglia dell’osteria, bastava che mio nonno mi vedesse che mollava le carte e veniva verso di me, dopo aver pagato al banco, sentivo addosso a lui l’odore del vino forte e delle sigarette, le Alfa che ne fumava un pacchetto al giorno, poi appoggiandosi a me si andava a casa, e io gli dicevo-nonno…..- e lui non mi rispondeva, ma vedevo i suoi occhi chiusi e lo tenevo che barcollava lungo la breve strada da fare, poi mi faceva un sorriso dei suoi e tutto mi si rasserenava nella mia testa. Ma non era così. Mia nonna morì, che avevo sedici anni, il suo piccolo cuore si fermo all’improvviso, fu la fine per mio nonno. Tempo dopo, una sera rincasando cadde e si ruppe il femore, ma riuscì a ristabilirsi, ma poi se lo ruppe un’altra volta e gli fu fatale, non si riprese più. Alto, magro gentile e buono, il mio rapporto con lui fu osteggiato dai miei genitori ed è una cosa che non riesco a perdonare, nemmeno a me. Ho litigato più volte con loro per questo. E’ strano vedere come nella vita le cose che contano, passano confuse e quasi nascoste in mezzo ad una fiumana di cose inutili, non siamo quasi mai in grado di capire quando è ora di schierarsi, ma quando è l’ora di farlo, si preferisce lasciar passare, sopravvivere da vili. Mio nonno era una persona speciale, era un artista e aveva doti uniche, ora non c’è più, ma ciò che ho imparato da lui mi è rimasto dentro e ogni qualvolta lavoro il legno, che per me è una passione, lui è li vicino che mi dice come tenere il martello e che ciuin (chiodini) usare, che vie (viti) adoperare e come stendere la colla. In me lui non morirà mai, sino alla fine dei miei giorni. Io mi sono schierato ora come allora. Ciao nonno Aldo. Arrivederci.

 
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anna545
anna545 il 03/05/12 alle 16:57 via WEB
Ciao nonno Aldo... bellissimo post, complimenti. Anna
(Rispondi)
 
massimofurio
massimofurio il 03/05/12 alle 17:17 via WEB
Grazie, molte grazie, è una cosa scritta in onore di mio nonno,un supporto che come un telaio ha sorretto la mia vita.
(Rispondi)
lehah
lehah il 03/05/12 alle 23:41 via WEB
Si avverte tutta la bellezza del ricordo, e si sente l’armonia di malinconica dolcezza. A tratti, trovo che sia particolarmente toccante, soprattutto dalle tue parole si evince tutta quanta la sensibilità che ti appartiene. Ti sorrido P.S. che il post sia molto lungo è evidente, quello che non sai è che ho dovuto leggerlo a puntate durante la giornata, appena mi era possibile farlo. Non pensare che io mi lamenti, tutt'altro, è stata una lettura piacevole.
(Rispondi)
 
massimofurio
massimofurio il 04/05/12 alle 08:22 via WEB
Grazie del tuo commento e della tua costanza,mi fa molto piacere che tu apprezzi il mio scrivere,che è un getto improvviso,quando lo faccio.Ti confesso che ogni volta che lo leggo mi commuovo, è per me molto importante ricordare, da tempo ho barattato il presente col mio passato.
(Rispondi)
ladynada999
ladynada999 il 15/05/12 alle 21:58 via WEB
In certi punti mi hai fatto sorridere e anche commuovere, tanta tenerezza in queste parole, poche per descrivere l'Amore che si porta verso una persona così importante nella Vita di Tutti noi. Anch'io tante volte penso a i miei nonni che ora sono in Paradiso e tante volte quando sono sotto il cielo stellato mando a loro un caro saluto e un piccola spontanea preghiera.
(Rispondi)
 
massimofurio
massimofurio il 15/05/12 alle 22:43 via WEB
Nelle sere no,vado al monte che ho già descritto in un altro scritto e mi metto sotto la croce. Penso a tante cose ora che son passato dal passo di Mitla pure io, ma mi conforta che quando verrà quel giorno, rivedrò mio nonno oltre che hai miei amici d'infanzia.Ritroverò la mia felicità che ho perso allora. Grazie del commento.Massimo.
(Rispondi)
alexxia_74
alexxia_74 il 23/05/12 alle 12:12 via WEB
leggendo, mi immedesimavo e alla fine riflettevo...posso capire cosa significhi il lavoro e la passione del falegname, poiché io ci lavoro ...e a parte le produzioni industriali, mi stupisco ancora come i veri maestri che vi lavorano, riescano a tirare fuori da un pezzo di legno, un pezzo unico ed irripetibile, proprio perché ARTIGIANO...poi mi immedesimavo...vedevo lo stesso attaccamento e le stesse sensazioni provate quando io ero con mia nonna a cui ho dedicato qualche tempo fa un pensiero...hai espresso bene un concetto con una similitudine , essere un controtelaio della nostra esistenza...e poi riflettevo, perché si è sempre costretti ad essere di parte, schierarsi , allontanando per forza chi o cosa non si è scelto.... perché non è possibile stare nel mezzo e non crucciare nessuno? lo vedo tutt'ora e sta cosa mi fa arrabbiare tanto.... bellissimo post!!!!!Aly
(Rispondi)
 
massimofurio
massimofurio il 23/05/12 alle 13:11 via WEB
Spero di diventare nonno anch'io,anche se con due dei miei figli o rapporti sotto il minimo,a dir poco.Aspetterò che la mia piccola diventi donna e poi madre e se poi ci sarò ancora..... Si,i nonni si sostitiscono spesso e meglio ai genitori, non che i miei non c'erano,ma lavoravano tutti e due,ma ho visto finire un'epoca magica e romantica e i personaggi come mio nonno erano i rappresentanti di un sapere umano,che non avremo più, abbiamo perso queste capacità e quelle nozioni tramendate e ampliate di generazione in gerenazione,le macchine ce le hanno rubate.
(Rispondi)
eternal_night
eternal_night il 23/05/12 alle 13:32 via WEB
E' una storia molto toccante e dolce, si i nonni sono spesso sostituti dei genitori. Per me i miei nonni ci sono stati sempre, almeno fino a un periodo della mia vita, poi tutto e' cambiato ... la vita e' imprevedibile. Sono sicura che a tempo debito sarai un nonno dolcissimo e molto presente. :)
(Rispondi)
 
massimofurio
massimofurio il 23/05/12 alle 22:10 via WEB
Grazie dell'augurio, lo spero tantissimo, che la felicità ti sia sempre vicino.
(Rispondi)
butterfly_2011
butterfly_2011 il 24/05/12 alle 14:48 via WEB
Complimenti questo racconto di tuo nonno si sente chè scritto con il cuore ed in queste righe tuo nonno appare vivo e vitale come non mai. Non comprendo perchè i genitori certe volte tirano in mezzo i nipoti e li costringono a prendere determinate posizioni. Tu dovevi esser libero di vivere con tuo nonno come credevi. E' una gran bella persona tuo nonno e tu secondo me non sei da meno con te ha fatto un buon lavoro. Un saluto L.
(Rispondi)
 
massimofurio
massimofurio il 24/05/12 alle 15:11 via WEB
Grazie del commento, si ero e sono ancora nonostante i miei 50 e passa anni,ancora molto legato alle sue cose, ai suoi ricordi e i suoi insegnamenti.
(Rispondi)
scorpione.scorpione
scorpione.scorpione il 02/06/12 alle 07:42 via WEB
Cazzo che bello! Avevo già capito che eri genovese triangolando Capo Mele con il Monviso e la Gorgona ed io non amo Genova perchè ci ho vissuto due anni.
Però l'essere nipote di un maestro d'ascia è una cosa affascinante, per me terragno della Romagna piatta che sta tra Ravenna ed il Po.
Vivo anch'io in Liguria ma in una Liguria fortunatamente bastarda, imbevuta com'è di Toscana ed Emilia.
(Rispondi)
 
massimofurio
massimofurio il 03/06/12 alle 19:50 via WEB
Grazie del commento, si l'ambiente del cantire e in falegnameria era un ambiente magico, ti confesso che per ritornare nella magia di quei tempi mi son fatto il mio laboratorio, in un magazzino che ha oltre 300 anni, in un edificio storico Genovese.Anche oggi con mia figlia abbiamo lavorato il legno, piccole cose, ma toccanti.
(Rispondi)
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