SuperEva

Sic


 Salsedine e pasta di mandorla. Lo scirocco, il fruscio del canneto incipriato di sabbia. Il sangue sull'asfalto rovente,  il silenzio degli onesti. L'ignoranza atavica avvinghiata alla Storia, all'Arte, alla Letteratura, intrecciate, come tronchi e rami d'Ulivo. I riti di dolore della Settimana Santa, gli orrori del Sacro e del Profano. Sant'Agata e Santa Rosalia, i mafiosi che pregano e si battono il petto nella folla delle processioni.  Uno Stato, un altro Stato. Uno statuto di tracotanza, trionfo dell'illegittimo, dell'occultamento, dell'oblio, dell'omertà che uccide chi è rimasto vivo.  L'opulenza della tavola imbandita e delle pasticcerie. I ritornelli urlati degli ambulanti. La Via del Sale, la Fata Morgana,  l'orizzonte che s'inabissa nel mare che porta all'Africa, zolle di terra crepate dal sole, l'arsura dell'afa, il fuoco che zampilla radioso nella notte, la cenere opaca che oscura il cielo di giorno fino a farne sera. Le foglie spinose dei fichi d'India, l'agave inattesa sul bordo della strada,  la vendemmia, l'odore intenso del mosto che ubriaca, l'oro degli agrumeti, il mercato del pesce, l'orrore della mattanza al tramonto.  Il profumo inebriante delle zagare e dei gelsomini nei cortili delle case di tufo.  La lussuria dello sfarzo delle Chiese barocche. Le piazze sontuose, memorie di quel tempo che fu. Un diploma di laurea mai incorniciato, un vestito da sposa  ingiallito dentro una cassapanca in soffitta, gli occhi di una madre e di un padre ormai troppo vecchi per passare il mare, un fratello bambino diventato uomo. Squarci faticosamente, dolorosamente rattoppati, malcelato orgoglio, le spalle dritte, la testa alta, lo sguardo puntato avanti.  Passi incompiuti, destini avversi, giorni decurtati, conti alla rovescia. Una porta chiusa a chiave con cinque mandate. Un lungo silenzio sulla via del non-ritorno