TARANTELLA-CZ6

Post N° 599


4. PARTECIPANTI DI BANKITALIA E CONFLITTO DI INTERESSI 4.1 Conflitto di interessi In alcuni casi esistono delle banche centrali più o meno nazionalizzate, come per esempio la Banca d’Inghilterra. La Banca d'Italia è oggi tra le pochissime banche centrali con capitale interamente privato. Gli istituti centrali di Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo ma anche Canada o Australia sono ad esempio possedute al 100% dallo Stato. In Austria, Belgio o Giappone il capitale della banca centrale è invece metà pubblico e metà privato. Per anni l’elenco degli azionisti di Bankitalia S.p.a. è stato sempre riservato, ma grazie a un dossier di Ricerche & Studi di Mediobanca[9], diretta da Fulvio Coltorti, si sono scoperti quasi tutti i proprietari della Banca d’Italia. Spulciando i bilanci di banche, assicurazioni eccetera, Coltorti ha annotato le quote che segnalavano una partecipazione nel capitale della Banca d’Italia. Così il ricercatore è riuscito a ricostruire gran parte dell’azionariato della nostra massima istituzione finanziaria. Oggi l’elenco dei partecipanti al capitale della Banca d’Italia è stato reso pubblico ed è consultabile da tutti anche presso il sito internet dell’istituzione stessa ( www.bancaditalia.it ). Tabella n. 1 – Soci e proprietari della Banca Centrale d’Italia Gruppo Intesa (27,2%) INPS (5%) Gruppo San Paolo (17,23%) Banca Carige (3,96%) Gruppo Capitalia (11,15%) BNL (2,83%) Gruppo Unicredito (10,97%) Gruppo La Fondiaria (2%) Assicurazioni Generali (6,33%) Gruppo Premafin (2%) Monte dei Paschi Siena (2,50%) C. Risparmio Firenze (1,85%) RAS (1,33%) Anonimi (5,65%) Come si può notare dalla tabella n.1, quattro delle maggiori banche, da sole, “controllano” con il 66.6% la Banca d’Italia: Intesa (27,2%), San Paolo (17,23%) , Capitalia (11,15%) e Unicredito (10,97%). Inoltre rimane un 5,65% nelle mani di anonimi. Tutto ciò è abbastanza singolare. Anzi anomalo. Quattro maggiori gruppi bancari detengono il 66,6 % del capitale sociale di Bankitalia, cioè l'istituto che dovrebbe essere preposto al controllo delle banche stesse. Come ricorda Gianfranco La Grassa[10] in un suo articolo[11] non è sempre stato così: al tempo dell'IRI[12], le grandi azioniste della Banca d'Italia – in particolare la Commerciale e il Credito Italiano - erano statali. Il 30 giugno del 1993, Ciampi e Prodi (Presidente del Consiglio e Presidente dell'IRI) diedero il via alla stagione delle privatizzazioni, partendo appunto all'apparato bancario. Addirittura lo stesso Giovanni Bazoli, attuale presidente di Banca Intesa e maggior socio, ha detto: "Qualcuno ha ravvisato una grave anomalia nella singolarità dell'assetto istituzionale che vede il capitale della banca centrale detenuto da istituti soggetti alla sua vigilanza" . 4.2 Vecchio e Nuovo Statuto della Banca d’Italia Esaminando il vecchio e nuovo statuto della Banca d’Italia è possibile riscontrare delle modifiche, proprio inerenti al possesso delle quote del capitale di Bankitalia. Prima dell’entrata in vigore del Nuovo Statuto, approvato con delibera dell’Assemblea generale straordinaria dei partecipanti al capitale del 28 novembre 2006, era in vigore il “Vecchio statuto” che all’ART.3 citava testualmente: “Il capitale della Banca d’Italia è di 156.000 euro rappresentato da quote di partecipazione di 0,52 euro ciascuna . Le dette quote sono nominative e non possono essere possedute se non da: a) Casse di risparmio; b) Istituti di credito di diritto pubblico e Banche di interesse nazionale; c) Società per azioni esercenti attività bancaria risultanti dalle operazioni di cui all’ art. 1 del decreto legislativo 20.11.1990, n. 356; d) Istituti di previdenza; e) Istituti di assicurazione. Le quote di partecipazione possono essere cedute, previo consenso del Consiglio superiore, solamente da uno ad altro ente compreso nelle categorie indicate nel comma precedente. In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici.“ Questo significa che dal lontano 1936 la Banca d’Italia era ed è rimasta una società per azioni ( sotto le spoglie di un Istituto di Diritto Pubblico ) nelle mani di privati, poiché l’unica vera quota del capitale in possesso di un ente pubblico è del 5.0% , quota detenuta dall’INPS[13]. Nel Nuovo Statuto, invece, si nota chiaramente come l’ART.3 sia stato modificato eliminando della parti essenziali: “Il capitale della Banca d’Italia è di 156.000 euro ed è suddiviso in quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna, la cui titolarità è disciplinata dalla legge. Il trasferimento delle quote avviene, su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto e della equilibrata distribuzione delle quote”. In sostanza è stata eliminata la dicitura inerente la partecipazione maggioritaria al capitale della Banca, da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici. 4.3 Nazionalizzazione di Bankitalia E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 291 del 15 dicembre scorso il decreto del Presidente della Repubblica 12 dicembre 2006 recante "Approvazione del nuovo statuto della Banca d'Italia, a norma dell'articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 43". Il provvedimento, approvato dal Consiglio dei ministri del 12 dicembre 2006, adegua la Banca d'Italia ai principi e alle regole contenuti nella nuova legge sulla tutela del risparmio e sulla disciplina dei mercati finanziari ovvero la legge n. 262 del 2005 che, al Titolo IV, Capo I, art. 19 recita testualmente “Con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l’assetto proprietario della Banca d’Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici”. Per cui, l’eliminazione dall’art. 3 dal “vecchio statuto” di una norma che di fatto non veniva applicata, ha sicuramente cancellato ogni dubbio sulla proprietà privata di Bankitalia legalizzando così tale dato di fatto. Infatti il nuovo statuto attua i principi della legge del risparmio che ha deciso che entro il 2008 occorre cedere le quote allo Stato, per una cifra da stabilirsi, ma valutata intorno agli 800 milioni, per portare così alla nazionalizzazione di Bankitalia. Il problema attuale diventa così quello di quantificare il valore di Bankitalia, credendo che questa sia la soluzione ai problemi del debito pubblico italiano, come molti sostengono, dando così molto più valore a quelle azioni possedute dai Banchieri. L'ex ministro Giulio Tremonti stabilì il valore della Banca d'Italia intorno agli 800 milioni di euro, sostenendo che la sua stima partiva dal valore dei dividendi, ma di parere diverso è l'ABI[14], la quale ha sempre valutato Bankitalia sul valore del patrimonio netto, ossia per una cifra oscillante tra i 10 e i 23 miliardi di euro, a seconda che al valore patrimoniale si aggiungano o meno le riserve di rivalutazione. E infatti nel corso dell'assemblea straordinaria di Bankitalia che ha approvato lo Statuto, i rappresentanti delle banche partecipanti al capitale hanno manifestato contro la ripartizione degli utili considerando che è in programma un "esproprio" la cui valutazione fa proprio riferimento ai dividendi, e per tale motivo pretendono una migliore valutazione. Non potevano non mancare pareri contrastanti sulla questione, tra cui c’è quello espresso dall’Aduc[15], che dichiara che il valore della Banca d’Italia sia pari a zero: “Bankitalia è oggi posseduta da istituti di credito privati pur essendo un istituto di diritto pubblico e le banche private non sono enti pubblici, quindi non hanno titolo a possedere le quote del capitale della Banca d´Italia; il possesso è illegittimo e quindi il valore del bene posseduto dalle banche, le quote del capitale, vale zero. Inoltre, se il capitale detenuto dalle banche private fosse venduto, cioè messo all´asta, l´unico acquirente potrebbe essere lo Stato, il quale disporrebbe della facoltà di determinarne il valore, effettuando una offerta di un centesimo di euro per l´intero ammontare delle quote”. 5. DALLA BANCA D’ITALIA ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA 5.1 Le origini della B.C.E. La creazione della Banca Centrale Europea (BCE) avviene nel giugno 1988, quando il Consiglio europeo confermò l’obiettivo della progressiva realizzazione dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) e assegnò a un comitato guidato da Jacques Delors, all’epoca Presidente della Commissione europea, il mandato di elaborare un programma concreto per il suo conseguimento. Il “Rapporto Delors”, redatto a conclusione dei lavori, proponeva di articolare la realizzazione dell’Unione economica e monetaria in tre fasi distinte: Figura n.1 – Rapporto Delors predisposto nelle tre fasi di attuazione La Prima fase cominciò nel giugno 1989, in cui il Consiglio europeo decise che la realizzazione dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) sarebbe iniziata il 1° luglio 1990, data in cui sarebbero state abolite, in linea di principio, tutte le restrizioni alla circolazione dei capitali tra gli Stati membri. La creazione dell’Istituto monetario europeo (IME), il 1° gennaio 1994, segnò l’avvio della Seconda fase dell’UEM e determinò lo scioglimento del Comitato dei governatori. Il carattere transitorio dell’IME rifletteva lo stato di avanzamento dell’integrazione monetaria nella Comunità. L’Istituto non era responsabile della conduzione della politica monetaria dell’Unione europea, che rimaneva una prerogativa delle autorità nazionali, e non aveva competenza per effettuare operazioni in valuta. Le due funzioni principali dell’IME erano: · rafforzare la cooperazione tra le banche centrali e il coordinamento delle politiche monetarie · svolgere i preparativi necessari per la costituzione del Sistema europeo di banche centrali (SEBC), per la conduzione della politica monetaria unica e per l’introduzione di una moneta comune nella Terza fase. Il 25 maggio 1998 i governi degli undici Stati membri[16] partecipanti nominarono come primo presidente l’olandese Duisemberg, il vicepresidente Trichet e gli altri quattro membri del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europa, con effetto il 1° giugno 1998, data di istituzione della BCE. La BCE e le banche centrali nazionali degli Stati membri partecipanti costituiscono l’Eurosistema, che formula e definisce la politica monetaria unica nella Terza fase dell’UEM. Con l’istituzione della BCE, l’IME concluse il suo mandato e fu pertanto posto in liquidazione, in conformità dell’articolo 123 (ex articolo 109 L) del Trattato che istituisce la Comunità europea. Il lavoro preparatorio affidato all’IME fu portato a termine nei tempi previsti; la BCE dedicò i restanti mesi del 1998 ai controlli finali delle procedure e dei sistemi adottati. La Terza fase ed ultima fase dell’UEM ha avuto inizio il 1° gennaio 1999, comportando la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio delle valute dei primi 11 Stati membri partecipanti all’unione monetaria e la conduzione di una politica monetaria unica sotto la responsabilità della BCE. Si chiude quindi per l’Italia un ciclo di vita nazionale, a volte drammatico, iniziato con la svalutazione della lira e la sua espulsione dalla SME, nel settembre del 1992. Il 2 maggio del 1998 si apre un nuovo ciclo con l’accettazione della lira nella grande fusione che produrrà l’euro, assieme al marco tedesco, al franco francese, alla peseta spagnola, alle altre valute europee: un recupero prima di tutto di credibilità , eccezionale.[17] 5.2 Sottoscrizione del capitale Le Banche centrali nazionali (BCN) sono le uniche autorizzate alla sottoscrizione ed alla detenzione del capitale sociale della BCE. La sottoscrizione di tale capitale sociale è stata effettuata secondo un criterio di ripartizione proporzionale alla percentuale di ciascuno stato membro dell'Unione europea al PIL comunitario ed alla popolazione dell'Unione. L’ammontare sottoscritto e interamente versato dalle Banche centrali nazionali (BCN) dei paesi dell’area dell’euro a valere sul capitale della BCE (5.760.652.402,58 euro) è pari a 4.004.183.399,81 euro, ripartiti nel seguente modo. Tabella n. 2 – Partecipazioni delle BCN dell’area dell’euro[18] BCN Capitale sottoscritto % Capitale versato (€) Nationale Bank van België / Banque Nationale de Belgique 2.4708 142,334,199.56 Deutsche Bundesbank 20.5211 1,182,149,240.19 Bank of Greece 1.8168 104,659,532.85 Banco de España 7.5498 434,917,735.09 Banque de France 14.3875 828,813,864.42 Central Bank and Financial Services Authority of Ireland 0.8885 51,183,396.60 Banca d'Italia 12.5297 721,792,464.09 Banque centrale du Luxembourg 0.1575 9,073,027.53 De Nederlandsche Bank 3.8937 224,302,522.60 Oesterreichische Nationalbank 2.0159 116,128,991.78 Banco de Portugal 1.7137 98,720,300.22 Banka Slovenije 0.3194 18,399,523.77 Suomen Pankki - Finlands Bank 1.2448 71,708,601.11 Total 69.5092 4,004,183,399.81 Come si evince dalla tabella n° 2 la maggioranza relativa delle quote è detenuta dalla Bundesbank, seguita da Banca di Francia e da Banca d'Italia; le altre banche centrali detengono invece, rispetto ai tre principali sottoscrittori, percentuali inferiori delle quote della BCE.