Creato da tommaso.mt il 26/07/2010
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Gli scarti allarmanti del Mezzogiorno d'Italia

Post n°10 pubblicato il 21 Settembre 2010 da tommaso.mt

Il rapporto della Banca d’Italia “Il Mezzogiorno e la politica economica dell’Italia” presentato lo scorso anno dal Governatore Mario Draghi, illustra dettagliatamente i nostri “scarti allarmanti” rispetto al resto del Paese, le loro origini, ipotizzando i possibili rimedi per agganciarci al treno dello sviluppo economico del nord e del resto d’Europa. Le politiche per il Sud, piuttosto assistenziali, applicate nel corso degli ultimi decenni sono fallite perché sono stati messi in campo strumenti economici, come ad esempio la Cassa per il Mezzogiorno e i vari contributi agevolativi (dalla L. 488/92 ai crediti d’imposta), per completare quella unificazione sociale e civile ancora da realizzare. L’economia italiana si presenta come “dualistica” perché, accanto ad un centro nord più vicino alle ricche regioni del Nord-Europa, persiste il cronico sottosviluppo del Meridione, in termini di reddito pro-capite, di produttività, condizioni del mercato del lavoro e qualità della vita. Nel Mezzogiorno d’Italia, oltre al ritardo della rivoluzione industriale, non si è mai avuta quella “rivoluzione sociale” in grado di trasformare il suddito del Regno di Napoli in cittadino dello Stato unitario, vivendo ancora in una “comunità” piuttosto che in una “società”, strutturalmente caratterizzata da un forte e protettivo potere politico, con una elevata dipendenza dal settore statale (una meridionale laureata che decide di rimanere nel sud dovrebbe puntare ad un impiego pubblico, più remunerativo rispetto al nord e al settore privato), e la presenza di valori legati all’indifferenza e alla mancanza di spirito di cooperazione fra i suoi simili: è privo, in poche parole, del “capitale sociale”. Il tessuto produttivo industriale potrebbe, si, avere bisogno di un sostegno finanziario e fiscale per un rilancio immediato della sua economia, ma non basta. La presenza di tante aziende gestite secondo corretti criteri di economicità ed efficienza, che combattono contro una concorrenza sleale, fatta di apparente e falsa competitività, come l’uso di manodopera sottopagata e/o irregolare e la mancanza di rispetto delle leggi previdenziali, fiscali e ambientali, richiede il ripristino delle condizioni di legalità. Il rapporto sottolinea, in più capitoli, come il fenomeno della criminalità organizzata influenzi la vita civile ed economica, soprattutto nel settore degli appalti pubblici, capace di pilotare diverse decisioni a livello locale nutrendosi dell’ambiguità di un pezzo della classe politica (sono state sciolte circa duecento amministrazioni per infiltrazioni mafiose e centinaia di dipendenti pubblici spostati solo di scrivania, ma raramente condannati in via definitiva), inquinando la nostra fiducia sia tra di noi che verso la classe dirigente, fino ad ostacolare il funzionamento della libera concorrenza. La corruzione del sistema economico deprime la crescita potenziale delle nostre piccole e medie imprese e, per questo, serve una seria e profonda riforma del sistema giudiziario, non solo per lo sviluppo sociale e civico, ma per poter attrarre anche importanti investitori internazionali. Questa necessità emerge anche da un’attenta analisi dei valori differenziali nel servizio della giustizia civile, mostrando come nel 2006, i tribunali del distretto meno efficiente per la cognizione ordinaria siano stati quelli di Lecce, con una durata media dei procedimenti tre volte superiore rispetto a Torino, mentre in materia di lavoro, previdenza e assistenza risultava Taranto, con una durata media sette volte superiore rispetto a Torino. In linea generale e per lo stesso anno di rilevazione, i procedimenti nei tribunali del sud duravano in media 1.209 giorni in sede di cognizione ordinaria e 1.031 giorni per le cause in materia di lavoro, previdenza e assistenza, in conseguenza della maggiore litigiosità qui presente (2.895 provvedimenti pendenti per ogni magistrato contro una media nazionale di 2.363), mentre nel centro nord si è avuta una media, rispettivamente di 842 e 521 giorni. Nessun cenno circa la Banca del Sud, ma il rapporto indica che diverse istituzioni creditizie sono nate anche in questa parte di Italia, come nel resto del Paese. Ancora oggi, fioriscono diverse banche locali, protagoniste di uno straordinario sviluppo territoriale che è sotto gli occhi di tutti, facendo emergere importanti figure imprenditoriali e una certa classe di piccoli e medi borghesi. Il maggior costo per il credito che deve sopportare il Meridione è la logica conseguenza della minor trasparenza nei rapporti economici e dell’inefficienza dei tribunali, riducendo la propensione ad erogare prestiti in assenza di garanzie reali. Rispetto a una qualsiasi altra istituzione creditizia, cosa potrebbe fare in più una Banca del Sud? Una spesa pro-capite di 1.130 euro contro i 1.000 del centro e 860 al nord, non basta per colmare il divario nella formazione scolastica (in cui siamo carenti persino nella comprensione dei testi, oltre che nella matematica), ma occorre un miglior livello di istruzione e un maggior riconoscimento ai titoli delle università meridionali, che non sono certamente di meno rispetto a quelle del settentrione. La prosecuzione degli studi è un impegno importante per la diffusione di valori civici, per combattere l’illegalità, il lavoro sommerso, poiché quanto più basso è il livello di istruzione tanto più elevata è la probabilità di svolgere un lavoro irregolare, ma soprattutto per cercare di frenare l’intensificarsi dei flussi migratori da Sud a Nord che interessano i giovani prevalentemente con alti livelli di scolarizzazione. La presenza di persone con un titolo di studio più alto rende i lavoratori non qualificati più produttivi riducendo il loro tasso di disoccupazione. Gli “scarti allarmanti” mostrano un Sud qualitativamente arretrato oltre che nell’istruzione e nella giustizia civile, nella sanità, negli asili, nell’assistenza sociale, nel trasporto locale, nelle infrastrutture, nella gestione dei rifiuti, nella distribuzione idrica (altro tema al centro del dibattito nazionale), dovuto ad un uso inefficiente delle risorse pubbliche, forse sovrabbondanti, e per il perdurare di forti legami tra le amministrazioni locali e gli organismi gestori, impedendo con le pervasive corruttele, clientelismi e sprechi, un duraturo sviluppo territoriale. Lo Stato deve preoccuparsi di migliorare la qualità di tali servizi, con una migliore programmazione della spesa comunitaria su poche e strategiche priorità, diffondendo ed ampliando la cultura del mercato per eliminare le rendite parassitarie, grazie ad un sistema di premialità in termini di maggiore risorse per le regioni più virtuose. Una grande aspettativa suscita il federalismo fiscale (tema al centro del dibattito istituzionale sin dall’Unità d’Italia), per quel senso di responsabilità che dovrebbe guidare tutta l’azione di governo delle varie istituzioni locali, e per il compito del cittadino nel vigilare sull’uso efficiente delle sue risorse, perché, “un governo che funzioni bene richiede la presenza di cittadini attivi, capaci e disposti a controllare, ed eventualmente a punire, gli amministratori inefficienti”: per questo abbiamo una potente arma da usare, il voto! Le politiche da adottare devono essere più ambiziose e più pazienti, perché in breve tempo non si può sperare di cambiare una situazione oramai consolidata nel corso di un secolo e mezzo di storia unitaria. Occorrerebbe un vero e proprio choc in grado di trasformare tutta la società meridionale, iniziando dai propri valori di riferimento e dal modo di porsi nei confronti della collettività. Principalmente dovremmo prendere coscienza di noi stessi e delle nostre ricchezze, delle nostre capacità e responsabilità; dopodiché ognuno ha un suo compito da espletare: lo Stato deve imporre condizioni di legalità e di giustizia, garantendo lo svolgimento della libera concorrenza leale; gli enti locali competenti per territorio hanno l’obbligo di far funzionare tutti i servizi pubblici loro decentrati secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità; mentre al cittadino meridionale compete la costruzione di una società più impegnata nel rispetto delle leggi e prima di tutto dei suoi simili, per cercare di consegnare alla Storia la parola “fine” sulla cosiddetta “questione meridionale”. Tommaso Manzillo

 
 
 
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