TOMMASO MANZILLO

L'UOMO E IL BENE COMUNE


PRESENTAZIONE DELL’AUTORE Il bagaglio culturale ed intellettuale dell’economista di oggi non può rimanere legato soltanto ai principi economici tramandati dai padri del pensiero classico e oltre. La perdurante crisi finanziaria mondiale ci insegna che lo sguardo dell’economista, come dell’analista deve andare al di la della storia del pensiero economico, e dei suoi principi ed insegnamenti. Nel tentativo di interpretare l’attuale congiuntura, la più importante del Terzo Millennio, occorre attingere ad altre discipline, come la sociologia, l’antropologia, la psicologia non tanto per puntare il dito contro questo o quel male e le sue cause, quanto piuttosto per capire che le origini delle crisi economiche mondiali, come questa che stiamo attraversando, possono e dovrebbero ricavarsi all’interno dell’animo umano, nei suoi modi di essere, di vivere, di interagire con l’ambiente esterno. Per dare delle spiegazioni ai movimenti economici non basta rispolverare i vari Smith, Keynes, Ricardo, Mill e altri. Occorre interagire con le altre discipline quanto meno per capire dove si dirige l’uomo, le sue sensazioni, le sue inclinazioni, le sue aspettative dalla società odierna. Oggetto dell’indagine economica deve essere l’uomo, nella sua visione individualistica e in quella sociale, perché è l’uomo che causa i suoi mali ed è verso di lui che deve saper dirigersi lo studio dell’analista come dell’economista di oggi, nel tentativo di scoprire quanto l’economia è una scienza economica che fa parte integrante dell’altra scienza più vasta che è quella sociale. L’intento è quello di riscoprire l’uomo, dalla sua prima visione solitaria ed individualista verso quella sociale, perché è con la società che quotidianamente deve interagire e relazionarsi, assumendosi le sue responsabilità. Ogni gesto economico porta conseguenze nella società, e l’uomo si serve del mercato per soddisfare le sue esigenze e dare appagamento ai suoi bisogni, che, avvertiti dagli altri suoi simili, diventano bisogni della società. Il mercato è lo strumento, come avrebbe detto Benedetto XVI nella Lettera Enciclica Caritas in Veritate (2009), di cui si serve l’homo oeconomicus e il sistema da lui inventato, per distribuire la ricchezza prodotta, creando e sviluppandone sempre di nuova da distribuire. Questo strumento, come quegli di uso quotidiano, sono nelle mani dell’uomo, prima di tutto come essere, quindi come membro attivo e partecipe della società in cui si muove; quindi ancora come soggetto portatore sano di bisogni cui trovare appagamento attraverso i meccanismi del mercato. Quando l’homo oeconomicus, essere bisognevole, debole, preso nella sua fragilità terrena e umana, manomette il suo strumento, spinto dalla sua fame di bisogni e di appagamenti, usa dire che il mercato e la libera concorrenza, con i loro meccanismi distributivi, non sono più idonei allo sviluppo umano, sociale, civile, economico, etico, ecc. Il mercato è certamente servito quale volano di sviluppo, per imprimere una svolta decisiva alla propria condizione di miseria. Con l’attuale crisi economica e finanziaria si è messo sul banco degli imputati l’economia di mercato e i suoi meccanismi distributivi, dimenticando che questo è stato ed è lo strumento di cui l’uomo si è sempre servito dagli albori dello scambio economico, e ancora prima, fino a oggi per uscire dallo stato passivo del bisogno di beni primari, per passare a uno stile di vita che fino a pochi decenni fa era impensabile. È il mercato, non l’uomo la causa dei mali? Ripercorrendo il pensiero dei padri dell’economia di mercato civile, come A. Genovesi, G. Palmieri, C. A. Broggia, L. A. Muratori, e di illustri studiosi di antropologia e filosofia, ci si rende conto come la loro idea di sviluppo economico sia molto lontana dalla nostra, soprattutto è diverso il punto di analisi e gli obiettivi prefissi. Il nostro sistema economico oggi è eccessivamente orientato verso un’economia di mercato capitalista, dove il raggiungimento del massimo guadagno immediato è l’orientamento del presente, mentre l’idea di A. Genovesi, per esempio, è quella di un sistema di obiettivi che vanno nella direzione di uno sviluppo più duraturo, ma che abbraccia il bene comune di un popolo, piuttosto che intrigati interessi personali. A volte l’uomo preferisce la momentanea felicità con le sue fragilità allo sviluppo duraturo e di medio e lungo periodo, facilitato dal miraggio del denaro e dalla forza del capitale, che ha scavato un solco profondo tra l’homo oeconomicus e la sua comunità di riferimento. L’avvento della rivoluzione industriale, con i suoi stravolgimenti sociali, dopo le numerose conquiste nel campo dei diritti del lavoro e dell’uomo, con la promozione del regime capitalista, come lo definisce R. L. Heilbroner, ha fatto sì che l’uomo sposti la propria attenzione su altri traguardi, che hanno eccessivamente aumentato il suo stile di vita, provocando uno svuotamento interiore della sua essenza, dei suoi valori cardini, che per millenni gli hanno consentito di sopravvivere. In tal modo, ha perso di vista il bene comune, ossia l’importanza dell’uomo stesso, sul piano individuale e inserito nella sua comunità di riferimento, bene comune che coinvolge e interessa la sua stessa sopravvivenza, mettendo a rischio tutto un bagaglio di conquiste sociali, umani, civili ottenute dopo cruente battaglie. Non è raro sentir dire che l’homo oeconomicus, con questa attuale crisi, rischia di riportare il sistema economico di nuovo verso lo stato agricolo, ossia di azzerare, o meglio, di disintegrare il progresso ottenuto quando al centro del suo operare ha messo il bene comune degli uomini. Rileggere le opere del pensiero economico civile, certamente ci avvicina, per chi è ricco di tali stati d’animo, all’idea e al valore di amor del prossimo, che è l’insegnamento più importante del Cristianesimo. E G. Palmieri lo riporta nelle sue  Riflessioni sulla pubblica felicità relativamente al Regno di Napoli. L’economia è certamente ciclica, un susseguirsi di fasi di espansione e di recessione, occorre saperle gestire, non nella logica dell’interesse privato, ma tenendo conto della sopravvivenza del genere umano, che passa inesorabilmente e inevitabilmente dal perseguimento del bene comune. Perché, qui ora è in gioco la stessa sopravvivenza dell’essere uomo, che quotidianamente deve lottare in un’arena competitiva dove molti sono gli attori che vi partecipano per la conquista delle scarse risorse ancora disponibili. Nel quarto capitolo si sviluppa l’idea di bene comune, partendo da un’attenta analisi e lettura di un breve passaggio della lettera di san Paolo ai cristiani di Filippi (2, 1-11). Si tenta di dimostrare, con questa chiave di lettura, come gli insegnamenti di Gesù Cristo e della Chiesa e i principi e valori fondanti il Cristianesimo siano idonei a ispirare l’agire di ogni attività economica, perché questa trovi nel bene comune il fine ultimo del suo operare, elevandosi quale scienza sociale indispensabile per il progresso dell’uomo. In sostanza, con l’aiuto anche delle Lettere Encicliche emanate dalla Chiesa, l’obiettivo finale è quello di rendere l’etica del Cristianesimo compatibile con la scienza economica, in vista del perseguimento del bene comune e dello sviluppo dei popoli. Durante e dopo ogni crisi economica, ritorna sempre il pensiero economico civile, si riparla di morale, di questione sociale e umanitaria, si stendono interi trattati di filosofia morale, tutti pronti e bravi a condannare questo o quel modo di vivere. Questo breve volume, lontano da ogni ispirazione e ideologia politica perché fuori luogo, intende essere il frutto di una piccola ricerca, con delle dovute riflessioni personali, in difesa del libero mercato, ma anche alla scoperta del pensiero che dei padri dell’economia di mercato civile, ai loro valori di riferimento, ma con un occhio attento agli insegnamenti dei maestri del nostro tempo, oramai scomparsi persino dalle aule universitarie e scolastiche. Soleto, 03 ottobre 2011 Tommaso Manzillo