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IL PRECARIATO DELLE LEGGI


 Se davvero il processo diventerà “breve”, una causa civile lunga più di due anni per ciascun grado obbligherà lo Stato ad indennizzare le parti per il ritardo col quale la loro domanda di giustizia è stata evasa. Il decorso del biennio, cioè, non farà certo terminare la causa e non verrà meno il dovere di deciderla nel merito. Diversamente il cittadino non saprebbe a chi rivolgersi per far valere i propri diritti e sarebbe tentato di farsi ragione da sé. Infatti lo Stato annovera tra i suoi principali compiti proprio quello di far rispettare le leggi attraverso la giurisdizione.Nella materia penale, invece, è previsto che, decorso il biennio, il processo si estingua e lo Stato rinunci a far valere la legge. Non è ammessa, cioè, la possibilità che il processo, sia pure in ritardo, sia portato a termine con l'applicazione della legge, magari accordando anche in tale ipotesi un indennizzo se il tempo impiegato è stato irragionevolmente lungo.Il concetto alla base del bizzarro istituto della “prescrizione del processo” è quello che ravvisa nella punizione di un colpevole soltanto un potere dello Stato, alla stessa stregua di un diritto soggetto a decadenza, come se si trattasse di un qualsiasi affare privato. Trascura del tutto che la punizione dei colpevoli è uno dei principali doveri dello Stato di diritto. E se lo Stato ha un dovere, il decorso del tempo, determinato dalla sua inefficienza, non può certo liberarlo da questo fondamentale compito del quale è debitore verso la collettività.La prescrizione del processo, cioè, realizza una rinuncia dello Stato all'esercizio della giurisdizione con la quale si esprime e si attua la sovranità, dato che non ha senso dettare le leggi se poi non se ne assicura il rispetto da parte di tutti i consociati.Il concetto di fondo, appena delineato, era alla base di analogo disegno di legge presentato nel 2006 da alcuni parlamentari dello schieramento oggi all'opposizione (Legislatura 15º - Disegno di legge N. 878).Non è qui in discussione, dunque, la “colorazione” politica di una simile idea, ma la sua tenuta logica e giuridica.La contraddizione risalta se si considera il diverso istituto della prescrizione del reato, in base al quale dopo un certo tempo dalla sua commissione il reato si estingue se non è già stato accertato con sentenza definitiva. La ragione della prescrizione del reato è solitamente ravvisata nel rilievo che a distanza di molto tempo dalla commissione del reato si annulla l'interesse a punire il colpevole anche perché una pena eseguita troppo tempo dopo il reato non assolverebbe più alla sua funzione rieducativa. Il tempo necessario a prescrivere si calcola sempre dalla data di commissione del fatto e varia in funzione della gravità dei reati. In presenza di un reato non prescritto, quindi, è ancora “vivo” l'interesse (potere/dovere) dello Stato alla punizione del colpevole. La sovrapposizione della prescrizione cd. processuale, e cioè la previsione di termini differenziati per il compimento della prescrizione sostanziale rispetto a quella processuale, dà luogo ad una contraddizione logica evidente poiché, in una situazione data, non possono coesistere comandi di segno opposto, come quello che impone di punire il colpevole e quello che vieta di processarlo.E' paradossale che s'imponga la ragionevole durata del processo con una norma irragionevole.In definitiva può affermarsi che l'idea della “prescrizione processuale” altro non è se non un escamotage nominalistico per abbreviare indistintamente i termini di prescrizione dei reati, un maldestro maquillage col quale, anziché accorciare la durata dei processi, s'introduce il precariato di tutte le leggi penali incriminatrici, trasformate in norme “a tempo breve”. http://toghe.blogspot.com/2009/11/il-precariato-delle-leggi.html