UNHOLY

IERI NOTTE


Torno a casa dopo essere stato dato per disperso nella campagna padovana. Prove infruttuose con gli Shivers: bravi loro e troppo fuori allenamento io. Era un pezzo che non suonavo con gente così preparata. Non mi do pena.Torno a casa, dicevo. Chiudo il cancello ed entro a posare quello che mi sono portato via. Lascio la porta aperta alle mie spalle e mi accorgo di quanto sia chiara la notte. Esco di nuovo in giardino, alzo gli occhi e la vedo in un cielo mutevole, dove ombre corrono veloci e scure. Mi siedo su una sdraio e me ne resto lì, piedi su una fioriera, con il naso all’insù, respirando l’aria fresca della notte, la testa vuota e gli occhi pieni di quella strana luce che non è che un riflesso. Ripenso a quando, prima di avere una casa con un giardino nel quale sedermi in mezzo al buio, lasciavo le persiane della mia camera tirate su e me ne stavo disteso a letto a godermi quei raggi obliqui e pallidi piovere nella mia stanza al quarto piano, aspettando di scivolare piano nel sonno, cullato da una canzone senza parole e senza suono. Guardo un po’ l’erba e gli alberi attorno, come le ombre siano così diverse da quelle del giorno: più morbide, più sfocate, soffici e confortevoli, come un cuscino sul quale poseresti la testa per sognare di sognare e sognare i sogni…qualsiasi cosa voglia dire. Quella luce che pare ovattare anche i suoni, così che non ti viene da urlare ma da sussurrare. Cammini piano, col passo leggero, senza fretta, senza nessun luogo dove andare, senza nessuna meta da raggiungere a tutti i costi, solo per il gusto di farlo. Gli odori sono diversi, il tatto rivela levigatezze soffici anche sugli spigoli più aguzzi. Guardo il cielo e la luna non ancora piena eppure già bella tonda, che alle volte pare un’amante e alle volte una madre, senza voglia di pensare a niente ma solo di godermi quel po’ di pace che sa darmi.