Creato da TamaraRufo il 03/07/2007
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Maria Grazia Luffarelli

Post n°44 pubblicato il 03 Febbraio 2008 da TamaraRufo
 

Maria Grazia Luffarelli è da sempre stata attratta dall’acquarello, dai colori gioiosi e propri della vita. Espressione della sua curiosità verso il mondo.

Attraverso l’arte, le sue piccole tele e i suoi colori pastello, Maria Grazia è libera e lavora con inesauribile passione.

Tra i giovani pittori Maria Grazia occupa un posto speciale, per le emozioni positive che riesce a trasmettere.

I suoi soggetti, calle danzanti, brezza sui papaveri, primavera nel borgo, vista sul faro, sono sempre legati alla natura, a un mondo di luce, e comunicano emozioni intense e allegre. Trovarsi davanti a una sua piccola e perfetta composizione fa sentire bene.

I suoi colori sono i colori di dentro. I suoi quadri esprimono quella gioia che solitamente si prova stando in contatto con il mondo. Le sue rose inebrianti e i notturni di primavera ci riportano l’emozione dell’aria tiepida, del profumo dei fiori, una gioia per gli occhi e per il cuore.

Le opere di Maria Grazia mostrano spontaneità, grazia, svelano quella luce che tante volte abbiamo desiderato vedere e non solamente scorgere per un attimo. La bellezza si può percepire per più di un istante, si è toccati dal benessere, sopra le sue tele è impresso un attimo pieno di vita e si avverte. Il presente è racchiuso in un soffio di vento, in un ricordo, nel caldo che arriva in una notte fredda.

Maria Grazia Luffarelli permette un volo verso l’infinito, sognando il verde di un campo ti accompagna in un viaggio che sembra magico ma si vorrebbe reale.

 
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L' inaccettabile

Post n°43 pubblicato il 08 Gennaio 2008 da TamaraRufo
 

La sera andava a spasso con lei, quando arrivò a capire che non avrebbero mai saltato la siepe, si ritrovò davanti al barista a dire: servimi due dita di whisky, per favore, in gola, voglio vomitare tutto il disprezzo disteso sopra il bancone.

Per questo aveva la faccia gonfia, si vide il mattino dopo, con il sole che menava brusco la sua solitudine. Si lasciava stuprare ogni sera, aveva bisogno di due dita di whisky di tanto in tanto, per capire dove era stato l’errore. Era finita troppo presto o troppo tardi?

La prima volta che visitò il cimitero il dolore lo spinse giù, ad allungarsi sulla pietra lucida, dove tanto tempo prima era stata conficcata una pianta. I suoi rami splendevano accanto alla lapide, un grappolo di foglie si allungava in strati di lucente verde sopra il granito. Lentamente le lancette ferme nel suo petto cominciarono a girare.

 

Altre due dita di whisky, disse al barista, sverrò da te mia vecchia forza, così la cara tomba potrà invadermi le narici con il suo forte odore di sconfitta. Se avrò fortuna, ancora due dita di whisky e il laccio teso che mi tiene in vita sarà spezzato. Se avrò fortuna non dimenticherò la strada per tornare a casa, andrò dritto dritto fino in camera sua, in modo da non dover affrontare sua madre.

L’abbraccerò scordandomi completamente dei rimproveri e del chiasso. All’inferno l’educazione, per una volta, è così che dovrebbe parlare un padre.

Aveva un volto affilato dall’ansia, i suoi occhi erano teneri e pieni di ricordi, quindi posò il bicchiere e andò alla porta.

 

 
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Come sei finita quaggiù?

Post n°42 pubblicato il 08 Dicembre 2007 da TamaraRufo
 

Gli oggetti sono cose che non dovrebbero commuovere, perché non sono vive. Non sapeva quando aveva raggiunto la rivelazione ma da quel momento l’ondina timorosa si ritirò con il mare verso una meta più importante. Il fondale.

La paura l’aveva placata, non si era sentita in pace con la coscienza ed aveva deciso di cambiare. Si spinse lontano, nell’oscurità silenziosa e non senza una leggera apprensione.

Non si avvistava più l’azzurro dei cieli né si riusciva più a scrutare il sole, del resto non era sola, aveva la compagnia dei branchi, creature dalla carica micidiale che per catturare la preda l’attraversavano devastandola.

Si sentiva triste in un mondo di estranei, nei momenti in cui riusciva a strasene tranquilla si posava oltre le profondità marine. Scendeva e scendeva fino a quando il freddo non la spingeva a tornare indietro.

Con il passare degli anni si confuse alle altre voci del mare, dimenticandosi di quello che era stato il suo destino.

Finché un giorno non si sentì chiamare, era il relitto di una nave e ondina lo raggiunse. Cominciò a stargli vicino. La grande sagoma scura sembrava dormire sulla superficie dell’abisso, nera, più nera del nero.

“Dimmi” le chiese, “come sei finita quaggiù?”

“E’ accaduto all’improvviso, stavo nuotando a perdifiato, gareggiavo con il mare e poi il mare alla fine ha vinto. Sono precipitata mentre cercavo di inseguirlo.”

“Inseguirlo? Che stolta sei stata, come può una creatura della superficie sfidare l’immensità delle acque marine?”

“Sono stata costretta” ribadì la nave, “il mare cominciò a rubarmi il sonno, mi chiamava, mi scuoteva, pretendeva di interferire con il viaggio. Spintonava la chiglia, riempiva gli oblò, rastrellava a babordo. Il mare bussava ad ogni mia porta, insisteva sottocoperta ed io stavo per infilare la chiave nella toppa quando sentii la serratura aprirsi dall’interno. Un’onda riuscì a mandare giù i battenti, la cambusa si riempì d’acqua e non potetti fare altro. Seguii il flusso dell’acqua.”

“Un’onda ha fatto questo?” I pensieri di ondina presero a correre più in fretta, si sentì scrutare l’anima, era lei stessa e tornava a caccia dei suoi pensieri più intimi.

“Oh, sì! sono debitrice a quell’onda” rispose il relitto dal fondo della sua carena, “quando si piomba nella disperazione si ha l’opportunità di scoprire la propria vera natura.”

“Cosa stai dicendo? Eri una nave maestosa e avresti potuto salpare fino a scoprire il largo, alla luce del sole, godendo i respiri del vento”.

“E’ vero e finché ho potuto l’ho fatto, ma sono cresciuta a metà fra due mondi: il cielo ha risuonato infinite volte sopra le mie vele, limpido e forte, ma il segreto delle profondità ha accarezzato i sogni che nascondevo sin dall’inizio. Quell’onda coraggiosa mi ha dato l’opportunità di cambiare corso alla mia vita.”

La nave parlava diretta al cuore e ondina cominciò a ricordare. Tornarono i pensieri, la scorribanda notturna che ebbe luogo quel giorno, con le altre sue compagne, fino a comporre la grande onda. Raccolsero molte adesioni quella volta e l’onda fu la più grande mai stata, un trionfo: la distruzione. Uno sbaglio irrimediabile.

“Oh nave, come potrai mai perdonarmi” piagnucolò, “ora non puoi più tornare indietro e a cosa è servito tutto questo, non ci sono tesori quaggiù oltre il buio.”

“Invece sì, mia cara amica, ho potuto esaudire il mio sogno. In quella notte di speranza ho capito che percorrere la propria strada è tutto, non importa che ci sia un prezzo. A guardare bene, non c’è mai abbastanza tempo per amare la vita e sprofondare e sprofondare almeno ci restituisce al sonno, così finalmente possiamo sognare di tutto.”

 

 

 
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Il discorso

Post n°41 pubblicato il 08 Dicembre 2007 da TamaraRufo
 

In quegli occhi spuntarono le lacrime, Marco era in un tale stato emotivo, non dava più risposte chiare. Con una mano su un ginocchio e l’altra sovrapposta alla prima, sprimacciava i calzoncini, irrigidiva freneticamente le gambette. Faceva molta attenzione a non farsi scoprire, non sapeva come rispondere, scuoteva la testa in negazioni repentine.

Marco ascoltava il rumore della voce del padre, il filare delle parole si disgregava sul suo viso e lui si lasciava sommergere. Vedeva la delusione stanca del genitore. “E’ vero, papà. Non è una bugia. Te lo giuro. Non sono stato io.” Un singhiozzo di commiserazione accompagnava il disperato tentativo di difendersi, un moto convulso scuoteva il corpicino dal dolore.

Il padre parlò al bambino, poi alzò alto alto la mano e presto finì tutto. Non seguì nessuno schiaffo. Senza un perché il padre congedò il figlio e il bambino divenne buono, buono. Marco sapeva che il ragionamento del padre era giusto. “Non lo farò più”. Promise in mezzo al pianto.

 

 
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Non è colpa di nessuno

Post n°40 pubblicato il 28 Novembre 2007 da TamaraRufo
 

Roberta non aveva finito di mangiare, non faceva che starsene imbronciata, si era chiusa nella sua stanza, con un’aria alquanto strana. Mamma sospirava, il pomeriggio dovevamo uscire, vidi che guardava Roberta, con gli occhi incupiti e tristi, e disse: “Roberta, va a prendere la tua roba, é ora di andare.”

Roberta, non era proprio a letto, ma se ne stava con la testa sotto il cuscino. Non disse nulla, si girò dall’altra parte e rimase là, tanto che dovetti avvicinarmi e scuoterla.

“Perché non ti alzi?” dissi.

“Levati di torno, mocciosa,” disse lei di scatto, e mamma, “Roberta!” la richiamò.

“Dobbiamo andare,” dissi io e mi voltai a guardare mamma.

“Stupida, farò tardi alla festa e sarà solo colpa tua,” dissi a Roberta dal corridoio, e mi sentii arrabbiata.

 “Lasciala stare,” mamma replicò, il che non fu affatto divertente per me. Uscii dalla stanza, e sentii che le guance si scaldavano, e di certo mia sorella nemmeno si era mossa.

 “Mamma! voglio andare da sola,” dissi, “Roberta non vuole venire,” andai verso mamma e la tirai per la gonna. “Mamma, mamma,” gridai.

Mi rendevo conto che mamma era stanca, perché aveva la faccia contrariata, “sta a sentire, bambina,” mamma disse a Roberta, “verrà il momento in cui potrai uscire con i tuoi amici, ma questo momento non sarà oggi.”

“Oh, mamma, ma perché? Non è giusto. Lasciami in pace!”

Il viso di mamma era teso e paziente e capii che era meglio se stavo zitta. Mi arrabbiai parecchio però, non mi andava di restare in casa, perché c’era la festa della mia amica Michela e Michela era la mia amica amicissima.

Al che mamma disse: “Crescerai anche tu, Romina,” e io pensai che non sarei più andata alla festa, e Michela non mi avrebbe più parlato, e mi misi a piangere.

Anche Roberta doveva averlo pensato, e ne sembrava molto soddisfatta, perché si mise a sedere sul letto e disse: “non si può nemmeno scherzare, adesso?”

Mamma sorrise appena, e vidi che sospirava, quindi tornò verso di me, e Roberta disse: “Quando allora, mamma? Quando potrò uscire da sola con i miei amici?”

“Quando non avrai più bisogno di mettere la testa sotto il cuscino,” disse mamma.

“Oh,” disse Roberta, “sarà la prossima volta allora,” rispose gentile, ma vedevo che era contrariata, perché ci teneva, e quello che mamma aveva detto l’aveva colpita.

“Ma dai,” disse Roberta, con calma e tono da adulta, “perché devono sempre complicarsi le cose? Ho mai detto che non sarei venuta? E, comunque, potevo far perdere la festa alla piccola?”

“No, figliola, certo che no,” disse mamma, e, di nuovo, vidi che sospirava.

 
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