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« I Crociati assediano GerusalemmeLa Seconda Crociata »

L'intervento divino nell'immaginario dei crociati

Post n°10 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da jacquesdemolay1118

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E' possibile che con il sole ormai alto nel cielo, nella confusione della battaglia, complici anche l'estrema varietà di genti che caratterizzavano l'armata cristiana facendone, in effetti, una realtà molto eterogenea, gli stemmi e le insegne di qualche cavaliere fossero confusi e riconosciuti come quelli di San Michele e San Giorgio o d'altri santi, o ancora come quelli di angelici guerrieri.

D'altra parte in circostanze analoghe, in occasione cioè di scontri vittoriosi, molti tra le fila dei crociati ebbero l'impressione di essere affiancati da combattenti celesti, o come nel caso della presa di Gerusalemme nel luglio 1099, dai loro compagni caduti in battaglia.
Numerosi testimoni, infatti, all'indomani della conquista della Città Santa, raccontarono di aver riconosciuto la solenne figura del legato pontificio, il vescovo Ademaro di Monteil già scomparso dopo la conquista di Antiochia che, reggendo alto lo stendardo della Croce, incitava i soldati nell'assalto finale.
L'agguato di Dorileo nel luglio del 1097, rischiò di rappresentare la fine di quella che ricordiamo come la Prima Crociata, stroncandone definitivamente l'avanzata verso Gerusalemme.

Viste le difficoltà di gestire la marcia e reperire viveri per l'esercito, tra le cui fila è bene ricordare, vi è un grandissimo numero di pellegrini non combattenti, i comandanti crociati prendono la decisione di dividere l'armata in due tronconi che viaggeranno a distanza di un giorno di cammino.

All'alba del 1° luglio, in prossimità di Dorileo (l'odierna Eskishehir), l'esercito turco di Kilij Arslan attacca l'accampamento del contingente d'avanguardia composto dai normanni del meridione d'Italia guidati da Boemondo e da quelli francesi agli ordini del duca Roberto, oltre ai cavalieri del conte di Fiandra, del conte Stefano di Blois e di un reparto bizantino.

Disponendo al centro i pellegrini disarmati, con le donne incaricate di rifornire d'acqua i soldati, Boemondo organizza la difesa e invia messaggeri al secondo esercito; la tattica dei turchi è comunque insidiosa per i cavalieri occidentali, abituati ad affrontare il nemico con cariche travolgenti. Diversamente da loro, questi avversari rifiutano lo scontro diretto, combattono impegnando veloci arcieri a cavallo che dopo aver scoccato le loro frecce si ritirano per far rapidamente posto ad altri.

Verso la fine della mattinata, quando ormai le forze e le speranze dei crociati cominciano a venir meno, improvvisamente la pianura è scossa dalla carica del secondo contingente crociato: lanciati al galoppo sopraggiungono per primi Goffredo di Buglione e Ugo di Vermandois, fratello del re di Francia, seguiti dal conte di Tolosa con il resto dell'esercito, e il loro arrivo modifica lo scenario della battaglia.
Quando ormai decisi ad abbandonare il campo, i turchi vedono comparire dalle colline alle loro spalle un nuovo contingente di guerrieri cristiani guidati dal vescovo Ademaro in persona, si scompongono in una fuga precipitosa abbandonando sul terreno armi e vettovaglie, ricco bottino per i crociati.

Non è difficile immaginare come questa vittoria rafforzasse tra i pellegrini ed i cavalieri cristiani la convinzione che la loro impresa fosse sotto la protezione divina e che quest'ultima si manifestasse concretamente attraverso l'impegno armato di angelici guerrieri.

Di un nuovo intervento di celesti rinforzi, i crociati ebbero modo di approfittare durante la battaglia che pose fine all'assedio di Antiochia, nel giugno dell'anno successivo; tenuto conto delle condizioni nelle quali versava l'intera armata cristiana, spossata al pari dei pellegrini da mesi di stenti e privazioni e considerato il gran numero di cavalieri costretti a combattere appiedati o al più a dorso di umili animali da soma causa la grande moria di cavalli, la vittoria apparve quasi miracolosa, in armonia con la forte carica mistica che aveva caratterizzato la permanenza ad Antiochia.

Sono oramai svariati mesi che tra i crociati circolano voci riguardo ai sogni e le visioni che interessano uno strano personaggio, tale Pietro Bartolomeo, noto per la sua condotta ed i modi non proprio esemplari. In una delle sue apparizioni l'apostolo Andrea gli avrebbe rivelato il luogo dove è sepolta la Sacra lancia, usata dal centurione romano per trafiggere il costato di Gesù dopo la crocifissione.
Non tutti tra i comandanti crociati credono all'autenticità delle dichiarazioni di Pietro e tra questi lo stesso legato pontificio, il vescovo Ademaro; tuttavia, scavando sotto il pavimento della cattedrale, come indicato da Sant'Andrea, viene riportata alla luce un vecchio manufatto in ferro subito riconosciuto ed accettato da molti come l'autentica lancia del Golgota.

Vistasi riconoscere dopo questo ritrovamento l'attendibilità delle sue dichiarazioni, Pietro Bartolomeo continua a riferire di visioni ed apparizioni delle quali è oggetto, molte delle quali incoraggiano l'impresa dei crociati e che, invitandoli a penitenze e mortificazioni, ne garantiscono il buon esito.
E' in questo clima che i comandanti crociati maturano la decisione di rompere l'assedio che tiene di fatto prigioniera in Antiochia l'armata cristiana ed affrontare in campo aperto l'atabeg Kerbogha. E' il 28 di giugno del 1198.

Nonostante le pessime condizioni dell'esercito e l'apparente posizione di svantaggio, grazie alla strategia di Boemondo che ha assunto per l'occasione il comando delle operazioni, i crociati riportano una schiacciante vittoria, mettendo in rotta le milizie turche.
Poco importa sottolineare che a permettere questo importante risultato contribuiscono da un lato gli errori tattici di Kerbogha (il quale aspetta che l'esercito cristiano sia interamente schierato prima di attaccare) e dall'altro le defezioni di molti generali turchi i quali, in disaccordo con l'atabeg, si ritirano dal campo con i loro uomini. Queste sono considerazioni che le cronache riporteranno in seguito e delle quali i crociati non riescono ad avere coscienza.
Per loro la vittoria è la conferma che l'impresa nella quale sono impegnati è santa e benedetta dal Cielo: molti di loro durante la battaglia vedono realmente sul fianco di una collina un drappello di angelici guerrieri incalzare il nemico sotto il comando dei santi Giorgio, Demetrio e Mercurio.

Un'ottantina d'anni dopo la battaglia di Antiochia, una nuova circostanza apparentemente disperata per i crociati, vede ancora l'intervento di schiere celesti in soccorso delle loro forze.
Sul trono di Gerusalemme siede il giovane e sfortunato Baldovino IV, che le cronache ricorderanno come il "re lebbroso" a causa del male che lo ha colpito in tenera età.
Nonostante i suoi sedici anni ed i segni già manifesti della malattia, il giovane dà prova di carattere e governa il regno cristiano con saggezza e determinazione.
Nel novembre del 1177 Saladino, venuto forse a conoscenza che il grosso delle forze cristiane si è trasferito verso nord al seguito del conte Filippo d'Alsazia e Raimondo di Tripoli, si muove dall'Egitto con un esercito di alcune migliaia di uomini e, penetrato in Siria, si dirige verso le città costiere nella regione meridionale del paese.

Baldovino, informato delle mosse del Saladino e radunati 500 cavalieri, raggiunge rapidamente Ascalona che teme essere il primo obiettivo da difendere, riuscendo a precedere l'esercito avversario. Ma le intenzioni di Saldino si rivelano presto altre: lasciato un piccolo contingente a proseguire l'assedio e tenere di fatto prigioniero il giovane re, si rimette in marcia risalendo verso l'interno, in direzione di Gerusalemme.
Quando Baldovino vede ripartire il Saladino comprende il vero pericolo, ossia che non ci sono più ostacoli che possano fermarne l'avanzata verso la Città Santa e con la forza della disperazione tenta l'impossibile: inviati messaggeri ai Templari che difendono Gaza affinché lo raggiungano e forzato il blocco, risale con la sua piccola armata il paese lungo la costa per cercare di tagliare la strada all'esercito egiziano.
Ripiegando verso l'interno all'altezza di Ibelin, il 25 novembre 1177 nei pressi di una fortezza chiamata dai franchi Montgisard (Tell Djezer per gli Arabi) il piccolo schieramento riesce ad intercettare l'armata di Saladino mentre è intenta ad attraversare un corso d'acqua.

Quando il giovane Baldovino legge l'indecisione e l'incertezza negli occhi dei suoi cavalieri che esitano ad attaccare, consapevole che è in gioco la vita del regno smonta da cavallo e, in ginocchio con il viso nella sabbia, prega piangendo. L'emozione che suscita la scena scuote gli animi dei cavalieri che dopo aver giurato di non sottrarsi allo scontro, si schierano in posizione di battaglia e con la Vera Croce in prima fila portata dal vescovo di Betlemme, lanciano la loro carica travolgente contro l'ignaro Saladino e il suo esercito.
Troppo tardi questi, superato lo stupore per la comparsa imprevedibile di Baldovino che crede ancora prigioniero in Ascalona, tenta di radunare i suoi uomini e fronteggiare i cristiani "All'improvviso spuntarono gli squadroni dei Franchi, agili come lupi, rumorosi come dei cani; essi caricarono in massa ardenti come una fiamma. . . . . ." ( da "Il libro dei due giardini")

Non conosciamo le sensazioni di Saladino all'apparire dei crociati, ne se anch'egli al pari dei cavalieri cristiani abbia l'impressione che San Giorgio combatta al loro fianco; gli uomini di Baldovino al termine della battaglia, pur riconoscendo il valore individuale di alcuni, distintisi dagli altri per coraggio e abilità, confessano di aver avuto la certezza che il Santo cavaliere guidasse la loro carica vittoriosa.
Certo è corretto ricordare che, probabilmente un eccesso di sicurezza da parte del Saladino, ha allentato molto la disciplina nell'esercito, lasciando liberi i soldati di allontanarsi durante la marcia per predare e saccheggiare il territorio; al momento dell'attacco crociato, l'armata egiziana, non più così numerosa, marcia in maniera disordinata e divisa. Ma i cavalieri di Baldovino, spossati dall'inseguimento e vinta l'indecisione di affrontare un nemico più numeroso con la consapevolezza che è in gioco Gerusalemme e l'intero regno cristiano, nell'esaltazione dell'attacco "vedono" realmente San Giorgio che li affianca e combatte al loro fianco. Non valutano e, d'altronde non ne hanno il tempo, gli eventuali errori del Saladino nel guidare il suo esercito.

A distanza di pochi anni, Gerusalemme venne persa dai cristiani dopo la disfatta dei corni di Hattin, dove i crociati subirono una pesante sconfitta ad opera dello stesso Saladino: nonostante il valore e lo slancio dimostrati in battaglia, nessun intervento di angeli guerrieri soccorse i cavalieri di Terra Santa, così come durante l'assedio e la caduta di San Giovanni d'Acri, altro episodio epico della storia delle Crociate che vide cavalieri e fanti battersi strenuamente contro un avversario impari.
Singolare che anche scontri vittoriosi per le armi cristiane avvenuti durante la terza Crociata, come la battaglia di Arsuf o la liberazione di Giaffa, non siano stati accompagnati da apparizioni di angeli o visioni di santi guerrieri; probabilmente la presenza di Re Riccardo Cuor di Leone e le sue doti militari universalmente riconosciute, rappresentavano una garanzia che non richiedeva interventi ultraterreni.

Il 7 ottobre 1571 al largo delle coste di Lepanto, la flotta cristiana della Lega Santa e quella turca agli ordini di Alì Pascià forte di 222 galee e 90.000 uomini, si scontrarono dando vita ad una straordinaria battaglia navale.
Durante la manovra di avvicinamento soffiava un vento di maestrale che favoriva la navigazione delle navi turche.
Verso la fine della mattinata, improvvisamente ed in maniera del tutto inaspettata la direzione del vento cambiò, incoraggiando l'avanzata delle imbarcazioni cristiane e spingendole contro il nemico.

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