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Fra i vari esercizi, vecchi di almeno due millenni, a cui vengono sottoposti i giovani tibetani che aspirano a diventare monaci nella Scuola di Dialettica Buddhista a Dhaarmsala, ce n'è uno che tutti dovremmo fare ogni tanto nella vita: stabilire dove sta quella cosa a cui teniamo così tanto, il nostro io.
"Nel nome?" suggerisce il vecchio lama che presiede su due lunghe file di tavolini dietro ai quali, seduti per terra, stanno gli studenti. No, perchè il nome può cambiare senza che l'io cambi. Eppure, quante persone si identificano col proprio nome! E quante si identificano ancora di più coi titoli che lo precedono! Ma è chiaro che l'io non può essere nel nome.
"Nel corpo?" chiede allora il vecchio monaco. Certo, l'io ha molto a che fare col corpo, al punto che si potrebbe dire che senza il corpo non c'è io.
"Ma dove sta nel corpo l'io?" insiste il lama mettendosi, divertito, a mimare i tanti modi con cui i vari popoli, dicendo "io", indicano una diversa parte del loro corpo. I cinesi dicono "io" e mettono l'indice della mano destra sulla punta del loro naso. Ma può l'io essere nel naso? Può essere nel cuore, sul quale di solito mettono la mano gli americani? O forse nella fronte, o nella testa che viene indicata come sede dell'io da quelli che, così facendo, sembrano comunque ritenere l'intelletto più importante dei sentimenti?
Gli studenti ascoltano, alcuni intervengono. La discussione va avanti per un po'. Poi il vecchio lama, dal tavolinetto dietro al quale siede su un'altana in legno, tira fuori una rosa e la tiene dinanzi a sè perchè tutti concentrino lì la loro attenzione.
"Questo è un fiore, siamo tutti d'accordo?" e così dicendo ne stacca un petalo. "E questo, è un fiore? No! Questo è un petalo... e questo?" chiede retoricamente, indicando di nuovo la rosa. "Questo è un fiore." Stacca ancora un petalo, poi ancora uno e un altro ancora, sempre chiedendo: "E questo cos'è?"
Alla fine, sul tavolino c'è un mucchietto di petali e nella mano del monaco il gambo spoglio della rosa. Il vecchio lama lo mostra a giro e chiede: "E questo, è un fiore? No. Questo non è più un fiore... Bene, lo stesso è vero per una mano" dice, alzando la sua sinistra in aria. "Se incominciassi a staccarmi un dito e poi un altro e un altro ancora, nessuna di quelle dita sarebbe più la mia mano, e la mia mano presto non sarebbe più la mia mano. Allora? E' esattamente così con tutto il nostro corpo. Non siamo anche noi fatti di tanti pezzi, ognuno dei quali però non è veramente noi...?"
(tratto da: Un altro giro di giostra, Tiziano Terzani)
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