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La Canzone di Marinella: la fantasia non è un’illusione, bensì un’allusione.

Post n°224 pubblicato il 22 Maggio 2010 da Terpetrus

Rieccomi qui dopo parecchio tempo. Ho lasciato perdere questo blog per qualche tempo perché ho preferito dedicarmi ad altre attività sempre, diciamo così, culturali. Ora, anche se limitatamente, ho deciso di riaprire il vezzo dei post.

L’ho deciso solo perché ho dentro una cosa che mi si agita dentro da tempo, e devo tirarla fuori.

La Rete è uno strumento meraviglioso, almeno per me. Credo che ancora non ci si renda conto dell’enorme cambiamento che è destinata a portare la tecnologia digitale nelle nostre vite e a tutto il mondo. Di fatto, la Rete ha permesso quello che nessun imperatore, nessun conquistatore è mai riuscito a compiere, cioè l’unificazione dell’intera umanità, dell’intero pianeta.

Ora tramite la Rete noi possiamo parlare con persone che vivono sull’altra faccia della Terra come parliamo con il nostro vicino. Lo straniero non è più tale, non esistono più persone veramente lontane, a patto che siano collegate. Un giorno l’intera umanità sarà immediatamente collegata, tutti e ciascuno, con mezzi infinitamente più evoluti di quelli attuali, e la divisione in nazioni, popoli e culture non avrà più alcun senso. Non sarà domani, né dopodomani, ma avverrà.

Ma la Rete ha un altro merito: quello della conservazione e della trasmissione della conoscenza, non solo quella attuale, ma anche nel recupero di quella passata.

Erano diversi giorni che continuava a ronzarmi nelle orecchie una delle canzoni più tristi che siano mai state scritte: La Canzone di Marinella di Fabrizio De André.

Non so quando sia stata scritta, ma penso alla fine degli anni Sessanta, perché è uno dei primi ricordi che ho in fatto di musica.

Io sono del 1962, quindi dovevo avere al massimo otto anni, quando la sentivo alla televisione o alla radio.

Ero così piccolo da non poterne capire tutta la piena tragicità.

Eccone il testo:

La canzone di Marinella

di Fabrizio De André

 

Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra una stella

 

Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno di un amore
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla tua porta

 

Bianco come la luna il suo cappello
come l'amore rosso il suo mantello
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue un aquilone

 

E c'era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose le sue mani suoi tuoi fianchi

 

Furono baci e furono sorrisi
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle

 

Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta

 

Questa è la tua canzone Marinella
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose

E come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose.


Quando la sentivo, e ne ascoltavo le parole, credevo che De André stesse raccontando una favola in versi. Credevo davvero che alla porta di Marinella fosse arrivato un Re che si fosse innamorato di lei, e che quando poi era caduta nel fiume il vento si fosse innamorato di lei e l’avesse salvata portandola su di una stella, e che il suo amato Re avesse atteso invano il suo ritorno bussando per tutta la vita alla sua porta.

Quando si è bambini, non si comprendono le metafore e i simboli della poesia e della fantasia, dei miti e delle leggende.

Forse, l’unica sostanziale differenza fra i bambini e gli adulti è che i bambini non hanno ancora imparato il linguaggio metaforico-simbolico, allusivo, dell’arte, mentre gli adulti l’hanno già dimenticato e non lo capiscono più.

Con le poche eccezioni di quegli adulti che cercano veramente di ricordarsi cosa pensavano e cosa sentivano quando erano bambini.

Non so perché, ma da qualche giorno ho cominciato a ripensare, a canticchiare quella canzone, a rimasticare le sue parole, per indagarne il loro significato di amore e morte.

Pensando alle sue parole con occhi d’adulto, la canzone mi è apparsa straordinariamente diversa, e grazie alla Rete l’ho riesplorata, riscoperta, reinterpretata in una luce nuova.

Sono andato su Youtube e ho cercato le registrazioni delle varie versioni di quella famosa canzone, che dopo essere stata scritta da De André è stata cantata anche da Mina, Renato Zero, Joan Baez e tanti altri.

La canzone mi si è rivelata per quello che era: una tragica storia di una ragazza sicuramente giovanissima, che è annegata nel fiume proprio il giorno stesso in cui ha incontrato un uomo magnifico che le ha dato subito il suo amore, quello che avrebbe dovuto diventare il re del suo cuore, e che è impazzito per sempre dal dolore quando lei è morta poco dopo aver fatto l’amore con lui.

Il vento che porta Marinella su una stella è una bellissima metafora per indicare il passaggio alla vita dell’aldilà, come a indicare la speranza, la fede che le giovani vite ingiustamente stroncate possano continuare la loro gioventù in cielo, perché “come tutte le più belle cose, vivono un giorno solo, come le rose”.

Una storia d’amore e morte come un’altra? Per la maggioranza della gente, penso di sì, anche se il successo della canzone indica che ha colpito più di altre storie.

Ma io ormai, dagli anni lontani della mia infanzia, in cui le favole e i miti li godevo senza comprenderli ancora, non mi sono fermato al significato allusivo delle parole, e ho cominciato a lavorare di fantasia, a figurarmi le scene, perché so distinguere fra le storie che sono puramente inventate, e quelle che invece si ispirano a qualco’altro.

E la canzone di Marinella era appunto una di queste ultime, e dopo aver letto ciò che raccontava, ho cominciato a riflettere su ciò che non raccontava.

C’era una sola cosa che non mi convinceva in quella storia, quando il testo dice. “dicono che mentre ritornavi, nel fiume chissà come scivolavi”.

Ora, sul momento ho pensato a Ofelia, unico caso famoso di donna innamorata scivolata nel fiume e annegata…. Ma ho pensato che magari non era quello il modello originario.

C’era qualcosa che non mi tornava…. Normalmente, la gente, quando annega in un fiume, non è certo perché vi è scivolata per caso, ammenoché non sia in corso un’alluvione, o non sia completamente ubriaca. Normalmente, gli annegati nei fiumi sono tali per due soli motivi: o perché ci si sono buttati di propria volontà, o perché qualcuno ce li ha spinti dentro.

Ho cominciato ad immaginare che in realtà dentro il fiume ce l’avesse gettata un altro spasimante geloso, oppure un padre violento e possessivo, o una rivale in amore che aveva messo gli occhi sul suo uomo… o magari il suo stesso amato, che era in realtà uno psicopatico, cosa che si poteva intuire dal fatto che aveva continuato a bussare alla sua porta per tutta la vita, rifiutando la tragica verità: non tanto che lei fosse morta, ma che l'avesse uccisa lui (ho una mente un po' troppo fervida, vero...?? Sbagliato! Una mente non è mai troppo fervida! Sono le altre menti, che hanno troppa poca inventiva!).

Allora ho cercato su Youtube e sul web tutto quello che riguardava quella canzone, e alla fine ho trovato la conferma a quello che pensavo.

In un’intervista, De André spiega come è nata la canzone: quando aveva quindici anni, legge sul giornale la tragica storia di una povera ragazza morta a sedici anni, che aveva perso entrambi i genitori e che era stata scacciata di casa dai suoi zii, finendo con l’andare a fare la prostituta, per poi venire uccisa da un comune delinquente, che l’ha gettata nel fiume Tanaro per rubarle la borsetta, facendola annegare.

De André, addolorato e commosso per quella poveretta, ha pensato bene di dedicarle una canzone, dandole una vita e una morte dignitose.

Ma dietro la poesia della canzone ci sta la rabbia per l’ingiustizia nei confronti dei deboli e degli indifesi.

Per l’ennesima volta dunque ho scoperto che dietro ogni storia apparentemente inventata ci sta un’altra storia più complessa. Ogni fantasia, è un’allusione alla realtà.

Il mondo della fantasia e delle favole non è il mondo delle illusioni, ma bensì delle allusioni. Nasconde tutto ciò che non abbiamo il coraggio di dire, o di ascoltare.

La fantasia non è il regno dei sogni, ma dei segreti.

Non è qualcosa che si contrappone alla realtà, e non è nemmeno uno specchio deformante della realtà, semmai è uno specchio obliquo, a cui è stato posto un altro specchio obliquo di fronte, e insieme riflettono l’uno nell’altro l’immagine di tutto ciò che gli passa in mezzo, un numero infinito di volte.

Così vorrei che le persone, quando ascoltano una storia, una favola, si chiedessero sempre cosa ci sta dietro. Da dove è nata, da quale segreto e da quale tragedia, e l’ascoltassero e immaginassero con orecchie e occhi nuovi, non più come cose irreali, ma come una verità segreta ed inconfessabile.

 

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Commenti al Post:
GenderIdentity
GenderIdentity il 13/06/10 alle 08:00 via WEB
Hai scritto una cosa bellissima su questa canzone/poesia...il mio fidanzato ha sempre amato questo grande artista e poeta, che dalla sua Genova, povera ma fiera (non tirchia) ci ha regalato versi intramontabili intrisi di profonde verità. Gli farò vedere il tuo post, gli piacerà senz'altro. Nadia p.s.: anche lui è un po' orso, anche se etero :)
(Rispondi)
frannicorso
frannicorso il 26/09/14 alle 21:54 via WEB
Quando Mina cantava la "Canzone di Marinella" ero un ragazzo. La cosa che ricordo è la sensazione di bellezza che essa dà ad una storia d'amore, la delicatezza, la naturalezza e la semplicità con la quale tratta una storia che all'epoca poteva sembrare scabrosa. I versi poi furono soltanto i fiordalisi che videro con gli occhi delle stelle fremere ai baci e al vento la sua pelle sono un capolavoro poetico che descrivono meravigliosamente cosa un uomo dovrebbe dare nel fare l'amore con una donna.
(Rispondi)
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