Melchiorre Contena 30 anni fa l'inferno può essere fatto di sbarre che sembrano imprigionare perfino il cielo, di muri spessi e grigi e di cancelli di ferro che rinchiudono in uno spazio immobile e claustrofobico anche i sogni e il dolore. Ma l'inferno è soprattutto nella lucida consapevolezza di essere vittima del furto più atroce, quello della libertà. E di vivere l'interminabile divenire di giorni grigi, sempre uguali, al posto di qualcun altro. Questa è la storia del calvario di un uomo che ha vissuto trent'anni all'inferno prima di vedersi restituiti, in nome del popolo italiano, la dignità e l'onore. Ma è anche la storia di una donna, sua moglie, che gli ha sempre creduto e che ha combattuto con una forza sovrumana una battaglia che sembrava impossibile. Questa è la storia di Melchiorre Contena, pastore di Orune, e di sua moglie Miracolosa Goddi. Il 18 luglio scorso la corte d'assise d'appello di Ancona ha messo fine a un incubo durato trent'anni, spazzando via l'accusa terribile di sequestro di persona e omicidio che aveva sprofondato Melchiorre Contena nel buio universo chiuso del carcere. E' l'epilogo di una complicata e contradditoria storia giudiziaria che ha visto pronunciarsi per quattro volte i giudici di merito e per due quelli di legittimità. Senza contare due pronunce in risposta alla richiesta di revisione del processo. La sentenza finale, quella che stabilisce che Melchiorre Contena è innocente, arriva però quando l'orologio del tempo ha scandito anche l'ultimo giorno della pena. L'avvocato romano Pasquale Bartolo, che ha difeso con passione il pastore orunese, è avaro di parole. Per lui l'importante è che sia stata restituita la dignità a Melchiorre Contena e alla sua famiglia: «Con un'epressione un po' brutta dico che Contena e quella donna straordinaria che è sua moglie hanno diritto a un "ristoro morale". Sulla vicenda giudiziaria non voglio fare commenti perché non è mio costume farli, anche se è impossibile non fare alcune valutazioni. La prima è che i sistemi giudiziari sono ragionevolmente garantisti quando si vive il processo in maniera diretta, mentre è molto facile sbagliare quando si giudica solo sulle carte. Devo anche riconoscere alla magistratura di essere capace di censurare i propri errori. E questo, fino a qualche anno fa, era impensabile». Ora, anche per gli altri sette imputati, si apre la porta della riabilitazione. Dopo trenta lunghissimi anni. Fonte Nuova Sardegna
Riconosciuto innocente dopo 30 anni di carcere.
Melchiorre Contena 30 anni fa l'inferno può essere fatto di sbarre che sembrano imprigionare perfino il cielo, di muri spessi e grigi e di cancelli di ferro che rinchiudono in uno spazio immobile e claustrofobico anche i sogni e il dolore. Ma l'inferno è soprattutto nella lucida consapevolezza di essere vittima del furto più atroce, quello della libertà. E di vivere l'interminabile divenire di giorni grigi, sempre uguali, al posto di qualcun altro. Questa è la storia del calvario di un uomo che ha vissuto trent'anni all'inferno prima di vedersi restituiti, in nome del popolo italiano, la dignità e l'onore. Ma è anche la storia di una donna, sua moglie, che gli ha sempre creduto e che ha combattuto con una forza sovrumana una battaglia che sembrava impossibile. Questa è la storia di Melchiorre Contena, pastore di Orune, e di sua moglie Miracolosa Goddi. Il 18 luglio scorso la corte d'assise d'appello di Ancona ha messo fine a un incubo durato trent'anni, spazzando via l'accusa terribile di sequestro di persona e omicidio che aveva sprofondato Melchiorre Contena nel buio universo chiuso del carcere. E' l'epilogo di una complicata e contradditoria storia giudiziaria che ha visto pronunciarsi per quattro volte i giudici di merito e per due quelli di legittimità. Senza contare due pronunce in risposta alla richiesta di revisione del processo. La sentenza finale, quella che stabilisce che Melchiorre Contena è innocente, arriva però quando l'orologio del tempo ha scandito anche l'ultimo giorno della pena. L'avvocato romano Pasquale Bartolo, che ha difeso con passione il pastore orunese, è avaro di parole. Per lui l'importante è che sia stata restituita la dignità a Melchiorre Contena e alla sua famiglia: «Con un'epressione un po' brutta dico che Contena e quella donna straordinaria che è sua moglie hanno diritto a un "ristoro morale". Sulla vicenda giudiziaria non voglio fare commenti perché non è mio costume farli, anche se è impossibile non fare alcune valutazioni. La prima è che i sistemi giudiziari sono ragionevolmente garantisti quando si vive il processo in maniera diretta, mentre è molto facile sbagliare quando si giudica solo sulle carte. Devo anche riconoscere alla magistratura di essere capace di censurare i propri errori. E questo, fino a qualche anno fa, era impensabile». Ora, anche per gli altri sette imputati, si apre la porta della riabilitazione. Dopo trenta lunghissimi anni. Fonte Nuova Sardegna