Creato da pamelagrazia il 06/07/2011
fatti e storia di popoli che mai furono "Sud" di alcuno.

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LE COSPIRAZIONI CHE PREPARANO LA CALATA DI GARIBALDI E OFFRIRONO IL REGNO A VICTOR EMANUEL II

Post n°16 pubblicato il 22 Agosto 2011 da pamelagrazia
 

"Quelli che hanno chiamato i piemontesi e che hanno consegnato loro il Regno delle Due Sicilie sono un'impercettibile minoranza. I sintomi della reazione si vedono ovunque."

JOURNAL DES DEBATS, novembre 1860

 

Fra il 1856 e il 1857 in tutti i comuni del Regno correvano frequenti voci di prossimi sommovimenti politici: si parlava dappertutto di sommosse, di costituzione, di tumulti antimonarchici, di repubblica, e si diffondevano per ogni dove proclami e cartelli incitanti alla rivolta. (archivio provinciale di Bari- processi politici,27,101-109)

 

Diploma Carbonaro, archivio di Lecce:  Diploma carbonaro, archivio di Lecce

 

Nonostante la sorveglianza più che attenta e oculata della polizia, il segreto Comitato Democratico di Napoli , centro direttivo di tutti i circoli cospiratori, in continuo contatto col "Comitato Centrale " di Genova, spargeva per ogni dove, con efficacia, le fila della congiura attraverso i suoi agitatori liberali mazziniani (come ad esempio, in Puglia, Mignogna, Libertini, Giuseppe Fanelli il quale era rientrato nel Regno dopo un lungo ed agitato esilio, Inghileterra e Torino, col nome di "Wilson"). Per opera di questi agitatori in quasi tutte le città e i villaggi sorsero dei comitati locali, sì che tutte le province, come nel 1820, furono avvolte in una fitta rete di "sezioni" o "famiglie" cospiratrici.

Clandestini manipoli di sovvertitori si ricostituirono, preparativi di azioni guerresche fervevano nei comuni; occulte corrispondenze tracciate con caratteri convenzionali (ad esempio messaggi scritti con la penna intrisa nel succo d'arancio la cui lettura diventa visilbile ponendo il foglio - volutamente sgualcito per far sembrarlo un mero pezzo di carta vecchio - sopra la candela accesa sicché il succo d'arancio annerisce facendo comparire lo scritto) correvano fra i comitati "consulenti" o di "azione" (processi politici negli archivi di stato). I misteriosi convegni , come nei precedenti moti si tenevano in chiese, in conventi, nei boschi, in botteghe artigiane .

 

Era Così ordita una vasta congiura e già si andava apparecchiando con avvedutezza il "piano insurrezionale" allorché lo sbarco intempestivo del Pisacane, provocato dagli occulti maneggi del partito murattista, precipitò e sconvolse gli avvenimenti di lunga mano preparati quale preludio alla spedizione garibaldina. L'infelice sbarco del Pisacane accrebbe i rigori polizieschi.

"Ferdinando II, uomo di tempra energica, vieppiù indignato da questi tentativi e dai moti che temeva in Sicilia e sul Continente, ... volle che la polizia non risparmiasse nè anco i sospetti. Furono Proibite le riunioni, le adunanze di ogni specie e le corrispondenze religiose e private. Nei giorni festivi fu vietato agli artigiani e gli artieri di tenere aperte le loro botteghe e riunirsi in esse, pena l'arresto. Quanti avevano fama di liberali, o per sospetto fossero creduti tali, erano spiati ovunque andassero.

... Non era lecito a chichessia portare il mustacchio o i peli della barba a piacere ( dato che per segno distintivo e reciproco riconoscimento quali "cugini carbonari", fin dagli anni 1830, i giovani settari si distinguevano nella reciproca appartenenza mostrando ampi e crescenti peli sotto il labbro superiore, o con folte baffette, o con la barba lunga sotto il mento ... alla moda di V.E. II , insomma!) . Chi esibiva in pubblico tali connotati veniva portato davanti ai giudici regi i quali chiamavano un barbiere per "far radere codesti ribelli".

(Giancaspro, L'insurrezione della Basilicata e del Barese, Trani 1890, p.24)

 

Svelati e repressi l'un dopo l'altro, i tentativi dell' "l'unità italiana", della setta "Carbonico-militare" e del "Partito d'azione", la borghesia cospiratrice fu colta da grave sconforto, e giacque, scorata, fin quasi all'alba del 1859, fin quando cioè in concomitanza della morte di Ferdinando II, dal Piemonte si "irradiarono vive luci di speranza".

Fin dal primo gennaio 1859, al ricevimento delle Tuileries, Napoleone III aveva rivelato all'ambasciatore d'Austria l'accordo franco-piemontese pattuito a Plombières e a breve intervallo, Vittorio Emanuele II, inaugurando la sessione legislativa del parlamento subalpino, proferiva "Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi" (frase suggeritagli da Napoleone III, in una lettera, a giustificazione di ciò che sarebbe avvenuto).

Da quei giorni incalzano con rapidità gli eventi: gli apparecchi militari del Piemonte, l'ultimatum austriaco, la discesa dell'imperatore con i suoi battaglioni, le giornate di Casteggio, Montebello, Palestro, Magenta, Solferino e S. Martino e le annessioni di Parma, Modena, Bologna, Toscana. La causa dei congiurati trionfava.

 

Nel frattempo, nel Regno delle Due Sicilie, il viaggio e soggiorno in Puglia della famiglia reale per accogliere la principessa Maria Sofia di Baviera, sposa del Principe ereditario Francesco, la dolorosa malattia e morte di Ferdinando II. [1]

Del soggiorno dei Reali Borbone in Terra di Bari e in Terra d'Otranto, sono ricchissime le narrazioni del tempo: le memorie particolareggiate negli archivi, nei giornali del tempo, nelle cronache locali, nella tradizione orale, e ne parla ampiamente con dovizia di aneddoti lo scrittore Raffaele De Cesare (il quale non propriamente borbonico era, anzi!).

Il valore di queste testimonianze è che attestano a ogni piè sospinto come fosse radicata nelle nostre moltitudini la devozione per la famiglia Borbone.

 

Tornando alle vicende d'Italia:

Intense ripercussioni ebbero nel Regno Due Sicilie le notizie delle annessioni di casa sabauda mentre al risoluto e battagliero Ferdinando II successe il conciliante Francesco II che, seppur dotato di lucido acume (come rivelano i suoi dispacci, es. a Castelcicala), commise l'errore di non imporre le sue indicazioni in termini di ordini perentori.

Nondimeno, e benché circuito da uno sciame di vili e perfidi cortigiani occupati più a trovare la via per ricavare un proprio vantaggio personale dallo sviluppo degli eventi, quale che esso fosse, che non alla salvezza del Regno e della monarchia, circondato di una gerontocrazia inetta e defatigata[2], non si lasciò smuovere dall'offensiva diplomatica sferrata subito dopo la morte del padre, contrariamente alle attese, rivelò la ferma volontà di controllare personalmente la vita dello Stato: non si piegò alle pressioni dell'ambasciatore britannico H.G. Elliot e dell'incaricato francese A. Brenier de la Renaudière di concedere riforme in senso liberale, né accolse l'invito ufficiale del governo piemontese a partecipare alla guerra contro l'Austria e a ripristinare alla fine del conflitto la costituzione del '48, in cambio dell'impegno a garantire l'integrità del Regno. [3]

 

Al diniego di Francesco II di unirsi al Piemonte per la guerra all'Austria (peraltro potenza amica) e a concedere riforme a favore dei liberali e dell' "italianità", e in presenza dei successi della corona sabauda nel togliere di mezzo gli altri sovrani del centro-nord della Penisola, i liberali d'ogni colore si raccolsero fidenti per l'estrema lotta e costituirono una nuova associazione , che si diramò dalla capitale nelle provincie per vie palesi e manifeste. La polizia, ormai, non incute più timore: non più clandestini convegni o impaurite macchinazioni, non più occulti piani di rivolta, ma guerra dichiarata e aperta al proprio sovrano e alla propria nazione in nome dell'Italia e di Vittorio Emanuele II.

A Napoli e nelle città di provincia i cospiratori escono allo scoperto e applaudono alle vittorie piemontesi; sulle torri e sui campanili ondeggiano, per ignote mani, le bandiere tricolori; manifesti e cartelli sovversivi inneggianti a Garibaldi , a Cavour, al regno d'Italia si diffondono dappertutto e tra quelli sequestrati dalla polizia, ad esempio, in uno nell'archivio di Stato di Terra di Bari, Processi politici, 23. 76, si legge: "Figlio di grazia! Viva il vittorioso guerriero Garibaldi! Viva il figlio di Gioachino, salito sul trono! Bandito dal Regno Francesco II"[4].

Centurie e decurie della "Società nazionale" sono rapidamente istituite in numerosi comuni (governi provvisori di liberali, cioè, che defenestrano quelli dell'amministrazione regolare del Regno, si formano e spariscono per intervento della polizia regia e si riformano e rispariscono); drappelli di volontari armati alla meno peggio (fucili da caccia, picche, sciabole ritrovate chissà dove, coltellacci, vecchi revolver di famiglia ...) sono pronti a partire per unirsi alla masnada garibaldina; adunanze "patriottiche" pubbliche e segrete si suggono senza tregua che dichiarano per sempre decaduta la dinastia borbonica; si istituiscono giunte insurrezionali con liberali di antica e recente data e attendono, dai comitati dirigenti, gli ordini risolutivi.

 

Ad infiammare gli animi dell'ultimo cimento, sopravviene, per i sovvertitori una fausta notizia: lo sbarco dei mille a Marsala!

 

Nota: la regia di tutto ciò è mazziniana e Mazzini era un "habitué" di casa Nathan Rotschild ...

 

(alcuni passi sono tratti da un testo di parte liberale: la Puglia nel secolo XIX di Antonio Lucarelli, Adda Editore, Bari, 1926)

______________________

 

[1] Mi ha sempre lasciata interrogativa la concomitanza della dipartita di Ferdinando II con il precipitare degli avvenimenti e delle annessioni al regno sabaudo. La Puglia, insieme alla Sicilia, era uno dei territori più pullulante di circoli insurrezionali e tra i centri sovversivi più fervidi e attivi. All'annuncio della morte Di Ferdinando II, la mazziniana Antonietta De pace ostentò, gioiosa, per strada uno scialle... rosso!

 

[2] Il primo ministro, Antonio Statella principe di Cassaro, aveva la veneranda età di 80 anni; il ministro della Guerra, Antonio Winspeare, 82; l'inetto Luogotenente,Paolo Ruffo principe di Castelcicala, 71; il generale Lanza, 73; il generale Landi a cui si deve l'incredibile ritirata a Calatafimi, 72.; Filangeri principe di Satriano, il salvatore del Regno nella rivoluzione del 1848, aveva 83 anni, che nel frattempo era divenuto non avverso alle idee liberali, rispose con diniego all'invito di Francesco II di riprendere il comando adducendo per giustificazione la sua tarda età, appunto, e la malattia della moglie.

 

[3] Così come a Gaeta, rifiutò di consegnare il Regno a V.E. II arrendendosi come suggeritogli da Napoleone III che ritirava la flotta francese a scudo della resistenza borbonica. Rispose con autentica dignità di sovrano: ritirarsi con una fortezza ancora intatta avrebbe voluto dire oscurare l'onore militare, avrebbe voluto dire rinunziare alle speranze che la spontanea reazione in varie province lasciava nutrire. Gli assediati, sostenuti dal comportamento del giovane sovrano e dall'esempio (anche quello dell'intrepida Maria Sofia), erano determinati a non cedere. Affrontarono tutti con raro coraggio e il blocco navale e il violento bombardamento, ma la recrudescenza di un'epidemia di tifo, fecero infine decidere il Re Francesco II per la capitolazione, conclusa il 13 febbraio 1861.

Parimenti dimostrò risolutezza e alta dignità di Re quando, confiscati tutti i beni personale dei Borbone da parte sabauda, gli venne proposta la restituzione in cambio della sua rinuncia ad ogni pretesa sul trono del Regno delle Due Sicilie: egli non accettò mai, rispondendo sdegnato: "Il mio onore non è in vendita".

 

[4] Guardando allo stile roboante e al contenuto dotto di tale cartello, si comprende come l'insorgenza fosse tutta di stampo prettamente e ristrettamente borghese; una minoranza di ideologizzati, insomma, e non certo una volontà di popolo come la storiografia ufficiale ci ha da sempre propinato.

 

 
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