Terrymaso

Jun incominciò a sciogliergli il foulard rosso che teneva intorno al collo..


..e poi gli aprì la giacca e a uno a uno i bottoni del gilet scuro, iniziando dal più basso e poi venendo su -lentamente- fino a quello più alto che, seppur rimasto solo a difendere l’indifendibile, pur tuttavia resistette un istante, giusto un istante, prima di cedere in silenzio, proprio mentre il signor Rail si chinava verso il volto di Jun per dire -ma era quasi un pregare--Ascoltami, Jun… guardami e chiedimi quello che vuoi…Ma Jun non disse nulla.Semplicemente, senza che un solo angolo del suo volto si muovesse, e assolutamente in silenzio, iniziò a piangere, in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con gli occhi, come bicchieri pieni fino all’orlo di tristezza, e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre, e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta.Così piangeva, Jun.E non smise mai, nemmeno per un attimo, mentre le sue mani spogliavano il signor Rail, e nemmeno dopo, a vederlo nudo sotto di sè e a baciarlo ovunque -non smise mai- continuò a sciogliere il grumo della propria tristezza in quelle lacrime immobili e silenziose (non ci sono lacrime più belle)mentre stringeva fra le mani il sesso del signor Rail e lentamente passava le labbra su quella pelle liscia e incredibile (non c’erano labbra più belle) e piangeva, in quel suo modo invincibile,quando aprì le gambe e in un istante, un pò con rabbia, prese il sesso del signor Rail dentro di sé, e dunque, in un certo modo, tutto il signor Rail dentro di sé,e puntando le braccia sul letto, guardando dall'alto il volto dell'uomo che era andato dall'altra parte del mondo a scopare una donna bellissima e negra,a scoparla con così appassionata esattezza da lasciarle un bambino nel ventre,guardando quel volto che la guardava prese a rigirare dentro di sé la vinta resistenza che era il sesso del signor Rail,a rigirarlo e domarlo perdutamente, perché entrasse ovunque, dentro di lei,e ritmicamente scivolasse nella follia, mai smettendo di piangere -se quello lo si può chiamare semplicemente piangere- eppure con sottile e sempre maggiore violenza, e furore forse,mentre il signor Rail le piantava le mani nei fianchi, nell'inutile e falso tentativo di fermare quella donna che si era presa ormai il suo cazzo e con movimenti ciechi ormai strappato dalla mente tutto ciò che non era l'elementare pretesa di godere ancora, e ancora di più.E non smise di piangere -e di tacere – di piangere e di tacere- nemmeno quando lo vide, l'uomo che era sotto di lei, chiudere gli occhi non veder più niente, e lo sentì,l'uomo che aveva dentro, venire tra le sue cosce piantandole istericamente il cazzo nelle viscere in quella specie di percossa intima e indecifrabile che lei aveva imparato ad amare come nessun altro dolore.Solo dopo -dopo- mentre il signor Rail la guardava nella penombra e accarezzandola ripassava il proprio stupore, Jun disse- Ti prego, non dirlo a nessuno. [...] Ti prego, non dirlo a nessuno che ho pianto. Fare l’amore così, la notte che lui tornava, era un pò più bello, un pò più semplice, un pò più complicato che in una notte qualunque.C'era di mezzo qualcosa come lo sforzo di ricordarsi qualcosa.C'era di mezzo un sottile timore di scoprire chissaché.C'era di mezzo il bisogno che comunque fosse bellissimo.C'era di mezzo una voglia un pò impaziente, un pò feroce, che non c'entrava con l'amore.C'era di mezzo un sacco di roba.Dopo, dopo era come ricominciare a scrivere da una pagina bianca.Qualsiasi viaggio avesse portato in giro per il mondo il signor Rail, scompariva nel bicchier d'acqua di quella mezz'ora d'amore.Si ricominciava da dove ci si era lasciati. Il sesso cancella fette di vita che uno nemmeno si immagina.Sarà anche stupido, ma la gente si stringe con quello strano furore un pò panico e la vita ne esce stropicciata come un bigliettino stretto in un pugno,nascosto con una mossa nervosa di paura.Un pò per caso, un pò per fortuna, spariscono nelle pieghe di quella vita appallottolata mozziconi di tempo dolorosi, o vigliacchi, o mai capiti.Così.