U2 & My Music

Post N° 40


RADIOHEAD IN _ RAINBOWS
TRA  I  MIGLIORI  ALBUM  DEL  2007Stanno parlando tutti della grande ribellione di Lucifero Yorke nel cielo della discografia, di questo inaudito sabotaggio alla Grande Macchina del’Industria Musicale; e si rischia di non evidenziare abbastanza quanto questo eretico album sia bello e accurato, davvero "il disco dell’anno". Per gli appassionati teste-di-radio non avrà l’impatto di The Bends o OK Computer o la sorpresa di Kid A; ma a livello di ispirazione e cura, di memorabili canzoni e immaginario Radiohead, siamo ai livelli massimi. La scelta è la stessa di Hail To The Thief e se vogliamo di The Eraser, il "solo" di Thom Yorke: concentrare la sparsa pappa sonora dei momenti RH più elettronici in canzoni di 4-5 minuti, combinare il rock per chitarre degli anni giovani con le sperimentazioni sonore della maturità. Tutto questo avviene con modi più gentili rispetto all’album prima, con una delicatezza di fondo che segna tutti i brani, escluso forse lo scorbutico Bodysnatchers: sogni a cui ci si abbandona o a cui si oppone resistenza, malinconie accanite e in fondo voluttuose, su una scala a spirale che a tratti sembra quella percorsa da Jeff Buckley anni addietro, verso cieli estremi, nel profondo di sé. Questa delicatezza tocca un vertice perfino doloroso in Nude, una canzone che voglio immaginare sarà un talismano di bellezza per la nuova generazione, come certe ballate di Nick Drake o la Song To The Siren di Buckley padre e poi dei Cocteau Twins. E’ il brano più incantato del disco, insieme a quella vertiginosa miniatura che è Faust Arp, due minuti e dieci secondi di poesia e sbalordimento: Thom Yorke sembra il cugino di Beck per come gioca con un arpeggio Beatlesiano, smontando l’abituale collage RH per uno schema più tradizionale di chitarra con accompagnamento di archi. McCartney (Blackbird) o Lennon (Julia) una ballata così l’avrebbero stirata con comodo: Yorke la accelera, la stringe, la snocciola in fretta come impaurito del suo cuore dolcissimo.In Rainbows si apre con la febbre di 15 Step e i suoi fascinosi ritmi scazonti per chiudersi con la severa semplicità di Videotape, quasi un demo per pianoforte e voce su cui Phil Selway interviene con gesti trancianti di batteria. Tra inizio e fine un magico mondo di visionarie tastiere e campionamenti, la voce alata di Yorke, misurate chitarre elettriche e arpeggi (un pezzo di brano si chiama anche così) di acustiche. Verso la mezz’ora, la canzone più sorprendente: House Of Cards ha la meravigliosa souplesse di certi brani anni ‘60 e non a caso serba più di un ricordo di una spiritata canzone di Carole King affidata ai Byrds (Goin’ Back).Credo che alla EMI si siano mangiati le mani dopo avere ascoltato il disco. Non sono canzoni qualunque ma un album vero e compatto, molto atteso, di altissima qualità: lo avrebbero potuto lavorare benissimo, il che rende ancora più significativo e vero lo strappo di Yorke e compagni. Gli angeli si sono ribellati e ora si vedrà come cambierà il panorama dopo la loro rivolta. Per adesso giusto un pensiero fugace: proprio i Radiohead, gli indiscussi re del rock peso e "difficile," ci insegnano quanto sia leggera e "facile" oggi la trasmissione delle idee musicali. di  Riccardo Bertoncelli