Creato da RunningToStandStill7 il 02/04/2007

U2 & My Music

You Made Motion When You Cry

 

 

Post N° 43

Post n°43 pubblicato il 08 Febbraio 2008 da RunningToStandStill7

THE NATIONAL - BOXER

Band di New York che con questo album ha fatto un salto di qualità incredibile rispetto alla seppur buona riuscita degli album precendenti. Questo è uno dei dischi che maggiormente mi ha impressionato del 2007 con una new-wave classica basata sull'emotivita della musica, che non risparmia l'uso della chitarra acustica e di una voce molto toccante .

L'album si apre con "Fake Empire" dove il piano danza sinuoso e la voce comincia una cantata densa che ti trasporta in un sogno. Subito dopo abbiamo l'entrata di uno degli strumenti cardine dell'album la batteria che comincia le sue decise ma non soffocanti battute. Il sogno prosegue e comincia a prendere tinte forti, è la volta di "Misteken For Stranger" la batteria comincia con un ritmo incalzante , la voce sembra quella di una persona che ti rivela la verità tramite paragoni affascinanti, la sequenza del ritornello è perfetta . Tutto comincia a sembrare incerto con l'inizio di "Brainy" il ritmo sembra pensieroso , la voce non sembra sicura come prima, ma assume connotati di rivelazioni amorose capaci di far sciogliere qualsiasi donna. L'arrangiamento è fantastico ! Iniziamo a vedere le tenebre quando inizia "Squalor Victoria", la batteria è un orologio svizzero , la voce sembra quella di una persona che sussura le sue verità al vento nel bel mezzo di un tramonto primaverile. Le ore della notte passano come le canzoni ed ora ci ritroviamo nel bel mezzo di "Green Gloves" l'arrangiamento da la sensazione di maestosità e la voce trasuda dolcezza, è proprio qui che appare la chitarra acustica . L'uso dell'acustica non ci abbandona  e ci segue anche io "Slow Show" e si prende il risalto che merita. Saltuariamente sbucano piano e batteria, la voce sembra organizzare tutti attorno a lei come per magia, il finale sembra un epopea , l'estaticità si riesce quasi a toccatere con le mani. Quando tutto sembra che il sogno stia andando verso la conclusione ecco che le chitarre distorte ti fanno capire che così non è! "Appartament Story" è la più classica canzone da singolo di questo sogno marchiato New York City, a difficolta riesce a frenare il corpo dal muoversi in questa canzone. Quando tutto lascia temere il peggior finale possibile arriva "Star A War", con un arpeggio di chitarra che sembra volerti lasciar abbandonare alla fase rem, la voce ricama delicata attorno a quasti arpeggi. Ma è proprio li che il sogno sembra riservare una sorpresa. "Guest Room" e la canzone che più ascolti e più prende quota . Forse è un flash back del passato felice o la tempesta che sta per incombere, ma è difficile da capire . Il ritornello regge perfetamente tutta la canzone, "Racing Like A Pro" sembra lasciarci incerti sul finale di questa avventura, il piano e gli arpeggi di chitarra sembrano sembrano seguire strade distinte ma con punti che si intercciano in un piacevole risultato finale e la voce sembra essere l'unica cosa che li avvicina. Il sole sta per sorgere ed il piano di "Ada" sembra segnalarcelo, la voce diventa speranzosa, la chitarra acustica ci trasemette sicurezza.La parte finale con piano-voce-violini ci lascia ottimisti che tutto finirà per il meglio. Ora stiamo osservando la sveglia ci rimangono 5 minuti prima del suo suono,  richiudiamo gli occhi e ci godiamo la fine. La conclusione del sogno è quella che ci aspettavamo. "Gospel" ci sembra dire che il sogno finisce bene

Stay near your, stay near your television
set it up outside
and hang your holiday rainbow lights in the garden
hang your holiday rainbow lights in the garden and I’ll
I’ll bring a nice icy drink to you

La voce sembra trasmettere sicurezza e il ritmo sembra cullarci piacevolmente nei nostri ultimi momenti di riposo, gradita la sorpesa di una seconda voce femminile che sempra quasi venirci a svegliare delicatamente dal sonno.

La sveglia comincia a suonare ed alzandoci penseremo che ne è valsa la pena di fare questo sogno!

di Devis Cherubini


 
 
 

Post N° 42

Post n°42 pubblicato il 24 Gennaio 2008 da RunningToStandStill7

The Joshua Tree  -  1987

Copertina di U2 The Joshua Tree

 

Poco più di vent'anni fa usciva il  5 album di studio deli U2 The Joshua Tree album che li consacrò definitivamente come una delle band più importanti della storia.

A fine 2007 è uscita la versione rimasterizzata di questo album in diverse versioni 2 cd , 2 cd+dvd e doppio vinile, che contiene oltre alle tracce originale anche le b-side e rarità dell'epoca. Bellissimo il cofanetto , belle le canzoni , ma ...

Una tirata d'orecchie la dobbiamo dare, agli u2, alla casa discografica, negozi di dischi e negozi virtuali dedicati alla vendità di dischi, in quanto la versione Delux dell'album è difficilmente reperibile e certi negozi che ne hanno disponibilità alzano il prezzo di circa 30 euro  il prezzo standard . Come è possibile mettere sul mercato il prodotto in così poche copie e soprattutto senza indicare Limited Edition ??? Spero che a presto si provvederà ad un ulteriore stampa di questa versione rimasterizzata visto che molti fan, me compreso , non l'hanno trovata!

Ma ora parliamo del disco nella sua versione originale, sublime, essenziale, che rappresenta come gli U2 vedevano l'America e cosa l'America ha donato agli U2. Un mix di emozioni che difficilmente può lasciarti indifferente. Una voce forse al pieno della maturità che ti scuote le vene e ti fa sentire vivo.

The Joshua Tree si apre con la spettacolare "Where the Streets Have No Name", una canzone simbolo di un'epoca, del linguaggio sacro del rock e del blues. L'intro iniziale è qualcosa di magico, che riporta a luoghi lontani, che fa correre un brivido lungo la schiena. Ma non è facile analizzare ogni canzone singolarmente, forse. Perchè in realtà questo album costituisce un cammino unico, spezzato nel ritmo solo dalla potenza di "Bullet The Blue Sky" ed "Exit", inni di rock puro, con in primo piano la batteria di Larry Mullen e il basso di Adam Clayton. Perchè troviamo episodi come "I Still Haven't Found What I'm Looking For", struggente ballata nel puro stile U2; l'immensa "With Or Without You", uno dei brani più amati dai fans, un urlo disperato, oscuro, in cui è difficile non immedesimarsi. C'è la perla "Running To Stand Still", un po' malinconica, una di quelle canzoni in viene voglia di pensare in compagnia dell'amore della propria vita, magari ballando dolcemente insieme alle note di questa canzone, romantica si, ma dal testo e dalla poeticità non scontate, con richiami alla dipendenza dalla droga .

Troviamo poi la parte "country" del disco, "Red Hill Mining Town", "In God's Country", quest'ultima caratterizzata da un bravissimo The Edge, inconfondibile col suo stile chitarristico. "Trip Trough Your Wires", bisogna essere sinceri, forse il punto più basso dell'album anche se di ottima fattura . Magari una "Spanish Eyes" o una "Silver And Gold", destinate al ruolo di B-Sides , avrebbero avuto un perchè maggiore in questo lavoro, che si conclude con la triste "Mothers Of Disappeared" Ma allora la confusione dello Zoo TV era ancora lontana. Qui c'è solo l'anima del rock che piace a me, la sua essenza, che non è spaccare chitarre, non è sesso, non è droga.

I difetti di questo disco? Beh, più che nel lavoro in sè, vanno ricercati in una produzione non del tutto eccellente, soprattutto in "Exit" per esempio il volume è mixato davvero troppo basso, e non consente di godere appieno del basso di Clayton.

Ma ci deve essere un perchè anche a questo, e chissà che prima o poi non lo capiremo?

 
 
 

Post N° 41

Post n°41 pubblicato il 04 Gennaio 2008 da RunningToStandStill7

JOY  DIVISION

Le meteore più amate

PARTICOLARE BIOGRAFIA DI MARCO TAGLIABUE

"Ecco i giovani, un peso sulle loro spalle
Ecco i giovani, dove sono stati?
Abbiamo bussato alle porte delle camere più scure dell’inferno
Spinti al limite, ci siamo trascinati a forza
Guardammo dalle quinte mentre venivano rifatte le scene
Ci vedemmo ora come non ci eravamo mai visti
Il ritratto dei traumi e delle degenerazioni
Le pene che avevamo sofferto e di cui non ci eravamo mai liberati
Dove sono stati?
Stanchi dentro, ora i nostri cuori sono persi per sempre
Non possiamo rimpiazzare la paura o le emozioni dell’inseguimento
Queste cerimonie svelarono la porta per il nostro vagabondaggio
Aperta e chiusa, poi sbattuta sulla nostra faccia
Dove sono stati?"

(Decades - 1980)

Con queste parole, sulle note di un nastro rallentato fino all’arresto, finiva, con "Closer" (1980), la parabola artistica dei Joy Division. La loro avventura umana si era già tragicamente infranta, poche settimane prima della pubblicazione dell’album, nelle risacche della coscienza di Ian Curtis, voce e immagine della formazione, che pagò con la vita stessa la propria ansia di vivere e di dare un senso nuovo e necessariamente diverso alla propria esistenza.
E’ un tragico momento quello del passaggio dalla giovinezza alla vita adulta, un passo delicato che si compie in genere con la disillusione e la rinuncia ai propri sogni, con l’accettazione di nuove regole e di un nuovo modello di vita; Ian, novello eroe romantico, non volle o non seppe saltare questo steccato e perse la battaglia decisiva contro i fantasmi che si portava dentro, gli stessi fantasmi che avevano in fondo generato la sua Arte.
E’ essenzialmente per questo, per questa malattia inguaribile di cui soffrono gli animi sensibili, che i Joy Division sono e saranno sempre una spina in fondo al cuore per chi, adolescente allora, temporeggia ancora oggi nel crescere e nell’accettarsi adulto, come del resto per chi, adolescente oggi, si accosta per la prima volta alla loro musica.

"Perchè dobbiamo essere repressi quando cerchiamo di fuggire
Perchè dobbiamo tutti crescere quando potremmo solo giocare e giocare
...
Più tardi - sarò terribilmente grande"

(da "At a later date" - 1977)

La loro stagione brevissima fu contrassegnata da due soli album più una manciata di singoli ed e.p., nonchè da poco più di un centinaio di concerti che difficilmente potranno essere scordati da chi ebbe il privilegio di assistervi (la scenografia scarna ed essenziale, le luci basse, le movenze di Ian quasi da marionetta impazzita...), ma il solco tracciato nella storia della "nostra" musica è profondo e fecondo come se ne sono rivelati solo pochissimi altri.
I futuri Joy Division debuttano, con il nome di Stiff Kittens, all’Electric Circus di Manchester il 9 dicembre 1976, in formazione tre compagni di scuola: Bernard Dicken (in seguito Albrecht), Peter Hook e Terry Mason: la loro fugace apparizione non sfugge a Sound che ne darà una pessima recensione. Con l’ingresso di Ian Curtis e di un batterista fisso, Steven Brotherdale (poi Steve Morris), la band assume la sua line-up definitiva e muta il nome in Warsaw, in omaggio al David Bowie decadente della seconda facciata di Low.

Dopo una apparizione - con il brano "At a later date", prima testimonianza vinilitica del gruppo - sul 10" "Short Circuit-Live at the Electric Circus" registrato in occasione di un concerto al famoso locale di Manchester il 2.10.77, i Warsaw registrano nel dicembre 77 il mini-lp "An ideal for living", contenente quattro pezzi (Warsaw, No love lost, Leaders of men, Failures (of the modern man); il disco vedrà però la luce - a spese del gruppo - solo sei mesi più tardi.
Nel frattempo i Warsaw, per evitare problemi di omonimia con un gruppo londinese che aveva appena debuttato sul mercato con un disco a nome " Warsaw Pakt", mutano il nome in Joy Division, termine mutuato dal romanzo" The House of Dolls" di Ka Tzetnik (che già in precedenza aveva offerto spunti per il testo di "No Love Lost") con il quale vengono indicati i reparti dei campi di sterminio nazisti occupati dalle prigioniere sulle quali gli ufficiali tedeschi sono soliti soddisfare i propri reprobi istinti sessuali. Tali elementi, uniti al look piuttosto grigio del gruppo, contribuiranno a fomentare, una volta raggiunta una certa notorietà, ricorrenti accuse di filo-nazismo da parte della stampa musicale "ufficiale" britannica, che non perdona al complesso la dignitosa chiusura alle leggi della società della comunicazione, ovvero a quella del marketing.

Nei primi mesi del 1978, a seguito di un interessamento da parte della RCA, i Joy Division si rinchiudono in studio ed incidono 11 brani: non se ne farà nulla a causa dei termini altamente insoddisfacenti del contratto sottoposto al gruppo e quei nastri andranno, anni più tardi, a costituire il bootleg semi-ufficiale Warsaw.
Dopo un concerto per la neonata Factory Records al Russel Club di Manchester i Joy Division conoscono il produttore Martin Hannett che, da quel momento, non lascerà più il gruppo divenendone a tutti gli effetti il quinto membro ufficiale; altri demo, piccole pubblicazioni e - naturalmente - concerti prima della grande occasione: il 31 gennaio 1979 John Peel invita i Joy Division a suonare nel suo celeberrimo show alla BBC, i quattro pezzi -Exercise One, Insight, Transmission, She’s Lost Control- vengono trasmessi con grande successo il 14 febbraio 1979.
Il gruppo è ormai maturo per l’album di debutto e si chiude, nell’aprile del 1979 sotto la guida di Martin Hannett, negli Strawberry Studios di Stockport: da quelle sessions usciranno 15 pezzi 10 dei quali costituiranno l’esordio ufficiale dei Joy Division.

"Unknown Pleasures" esce nel giugno di quell’anno e altro non si può definire se non un monumento di inenarrabile e inarrivabile bellezza. Dalla enigmatica copertina di Peter Saville - da quel momento responsabile unico della grafica del complesso - destinata ad essere ricordata, accanto alla banana dei Velvet o alla mucca dei Pink Floyd, tra le più famose della storia del rock, alla geniale produzione di Hannett, capace di individuare l’esatto punto di equilibrio fra l’irruenza quasi punk dei vecchi Warsaw e le atmosfere oniriche, ipnotico-decadenti, che avrebbero caratterizzato la produzione futura dei Joy Division, tutto di questo disco è ormai storia. E la musica, naturalmente.
Sono davvero piaceri sconosciuti già dall’intro dell’iniziale "Disorder", con quell’attacco di batteria e quel basso secco ed ipnotico, la chitarra ruvida e tagliente e poi la voce magnetica di Ian ("Ho aspettatto che venisse una guida e mi prendesse per mano/potrebbero queste sensazioni farmi provare i piaceri di un uomo normale?") a declamare liriche intense e struggenti, in una atmosfera plumbea ed inquietante che sovrasta l’ascoltatore fino all’ultima nota, accompagnandolo in un viaggio ideale attraverso il disfacimento della moderna civiltà urbana, fra edifici in degrado e capannoni industriali abbandonati, fra muri che si scrostano e goccie di umidità che cadono incessanti da soffitti ammuffiti...

Questo pezzo, tra i più rappresentativi dell’album, contiene già tutti gli elementi che faranno di "Unknown Pleasures" uno dei 4/5 dischi definitivi della prima new-wave, ideale capostipite di una ininterrotta serie avventure sonore e originale mai eguagliato; ma come tacere poi della solennità di "Day of the Lords", della cupa e rabbiosa poesia di "New Dawn Fades" ("Un cambio di velocità, un cambio di stile/un cambio di scena, senza rimpianti/un’opportunità di guardare, di ammirare la distanza/.../Di tutti gli errori che abbiamo commesso ho preso la colpa/senza meta, così facile da vedere/una pistola carica non ti renderà libero, così dici..."), della melodia scarna e ipnotica di "She’s Lost Control", delle geometrie spigolose di "Shadowplay" e di "Insight" ("Abbiamo sprecato il nostro tempo/proprio non avevamo tempo/ma tutti gli angeli di Dio stiano attenti/e voi giudici state attenti/figli del caso abbiate buona cura/di tutta la gente la fuori non ho più paura"), della tensione doorsiana di "I Remember Nothing"...

Dopo l’uscita di "Unknown Pleasures" da segnalare la pubblicazione dei singoli inediti "Transmission/Novelty" (7/79) e "Atmosphere/Dead Souls" (10/79), di diritto fra i loro pezzi migliori di sempre; "Atmosphere" soprattutto, meravigliosa canzone dai timbri onirici e maestosi, costituisce, con la sua solenne drammaticità, un ponte ideale verso produzione dei Joy Divsion di lì a venire.
Dopo i memorabili concerti dell’8/9/79 al primo Futurama di Leeds, dove ottengono uno strepitoso successo, e del 27-28/10/79 all’Apollo di Manchester, dal quale sono tratti filmati che costituiscono il video VHS "Here Are The Young Men" del 1982, unica testimonianza visiva del gruppo, i Joy registrano il 28/11/79 la seconda "Peel Session", in onda il 10.12.79 con i pezzi "24 Hours/Love Will Tear Us Apart/Colony/Sound of Music".

L’11 gennaio 1980 il complesso tiene al Paradiso di Amsterdam uno dei propri concerti più famosi, documentato da svariati bootleg; al ritorno, in una pausa del tour, vengono composti i pezzi che costituiranno il flexi-disc "Komakino". Le sessions per la registrazione del singolo "Love Will Tear Us Apart/These Days" (il disco uscirà con due versioni differenti di LWTUA perchè Ian Curtis e Martin Hennet non erano d’accordo sull’incisione migliore) e del secondo album "Closer" si protraggono per tutto il mese di marzo; al termine le condizioni fisiche di Ian, già affetto da epilessia, peggiorano notevolmente tanto da non consentirgli di portare a termine più di un concerto.

Il 2 maggio 1980 i Joy Division tengono il loro ultimo spettacolo alla High Hall di Birmingham. Il 18 maggio 1980, all’alba dello sbarco del gruppo negli Stati Uniti per il primo tour oltreoceano e per la firma di un contratto di distribuzione americana con la WEA del valore di un milione di dollari, Ian Curtis viene trovato impiccato nella sua casa di Macclesfield. E’ la fine dei Joy Division e - inevitabilmente - l’inizio del loro mito.
Nel luglio del 1980, preceduto dalla struggente melodia del singolo "Love Will Tear Us Apart" che, con la sua dolente immediatezza pop, diventerà il brano manifesto del gruppo - anche attraverso una miriade di omaggi, dagli Swans a Paul Mc Cartney - esce il secondo album "Closer". Già, che dire di "Closer"? Disco cruciale per l’evoluzione del rock degli anni ‘80? Fondamenta di tutto il movimento dark britannico della prima metà della decade?
Closer" è tutto questo e molto altro ancora, ma è soprattutto l’urlo disperato di un uomo solo, urlo che non è richiesta di aiuto ma, come purtroppo tragicamente dimostrato, accettazione irrimediabile di una sconfitta. Dalla funerea copertina (che tutti giurano decisa quando Ian era ancora in vita) ai ritmi rallentati e avari di melodia, dalle angoscianti verità dei testi alle atmosfere rarefatte e tanto dense da sembrare palpabili, si respira ovunque aria di morte e di desolazione.

"Questa è la crisi che doveva arrivare
a distruggere l’equilibrio che avevo conservato
...
Sono stato pazzo a chiedere così tanto
senza la protezione e la difesa dell’infanzia
va tutto a pezzi al primo tocco"

(da "Passover" - 1980)

La freschezza e l’irruenza di "Unknown Pleasures" cedono quindi il passo a toni più ovattati, a parole e musiche lanciati come stiletti nel cuore dell’ascoltatore: dall’omaggio a Ballard dell’iniziale "Atrocity Exibition", con il suo basso pulsante e la chitarra schizofrenica, ai pugni nello stomaco di The Eternal ("Sdraiato vicino al cancello in fondo al giardino/il mio sguardo spazia dalla siepe al muro/Nessuna parola potrebbe spiegare/nessuna azione potrebbe risolvere/Posso solo guardare gli alberi e le foglie che cadono") e "Decades", con le quali si chiude l’album con un pathos quasi insostenibile, ammorbidito solo dalla glaciale bellezza delle canzoni.

"Così questa è la stabilità, l’amore ha distrutto l’orgoglio
Quello che una volta era innocenza è passato dall’altra parte
Una nube incombe su di me, segue ogni movimento
Profondo nella memoria, quello che una volta era amore
...
Andiamo a fare un giro e vediamo cosa possiamo trovare
Una collezione senza valore di speranze e desideri passati
...
Ora che mi sono reso conto di come tutto sia andato storto
Devo trovare una terapia, la cura richiede troppo tempo
Nel profondo del cuore dove domina il cordoglio
Devo trovare il mio destino prima che sia troppo tardi"

(da" 24 Hours" - 1980)

La storia dei Joy Division finisce quindi così, con una morte pienamente e vanamente annunciata: con quella che, a seconda dei punti di vista, può essere considerata una sconfitta nei confronti della vita o, nella fredda determinazione di essere giudici unici del proprio destino, l’unica vittoria possibile contro di essa.
Dopo la fine dei Joy, gli altri componenti, come era stato stabilito nel caso qualcuno per un motivo o per un’altro avesse lasciato il gruppo, cambiano il nome in New Order e cominciano una carriera che, fra alti e bassi, è continuata fino ai nostri giorni: ma questa è certamente un’altra storia...
Da segnalare infine fra le uscite postume (trattate grazie al cielo con estemo rispetto alla memoria del gruppo, evitando inutili e inappropriate speculazioni), oltre alle due "Peel’s Sessions", "Still" (1981) e "Substance 77-80" (1988). Il primo, doppio album, raccoglie i pezzi scartati dalle sessions di "Unknown Pleasures" e altri inediti oltre alla registrazione integrale dell’ultimo concerto dei Joy Division del 2/5/80 (durante il quale vennero eseguite per la prima e unica volta dal vivo "Ceremony" e "Decades") ed a una curiosa cover live di "Sister Ray" dei Velvet. Substance invece contempla, nella versione CD, tutti i pezzi facenti parte dei singoli ed e.p. del gruppo, dando così ampia reperibilità a tutto - o quasi - il materiale pubblicato dai Joy Division.

 
 
 

Post N° 40

Post n°40 pubblicato il 27 Dicembre 2007 da RunningToStandStill7

RADIOHEAD

IN _ RAINBOWS

Photo

TRA  I  MIGLIORI  ALBUM  DEL  2007

Stanno parlando tutti della grande ribellione di Lucifero Yorke nel cielo della discografia, di questo inaudito sabotaggio alla Grande Macchina del’Industria Musicale; e si rischia di non evidenziare abbastanza quanto questo eretico album sia bello e accurato, davvero "il disco dell’anno". Per gli appassionati teste-di-radio non avrà l’impatto di The Bends o OK Computer o la sorpresa di Kid A; ma a livello di ispirazione e cura, di memorabili canzoni e immaginario Radiohead, siamo ai livelli massimi.

La scelta è la stessa di Hail To The Thief e se vogliamo di The Eraser, il "solo" di Thom Yorke: concentrare la sparsa pappa sonora dei momenti RH più elettronici in canzoni di 4-5 minuti, combinare il rock per chitarre degli anni giovani con le sperimentazioni sonore della maturità. Tutto questo avviene con modi più gentili rispetto all’album prima, con una delicatezza di fondo che segna tutti i brani, escluso forse lo scorbutico Bodysnatchers: sogni a cui ci si abbandona o a cui si oppone resistenza, malinconie accanite e in fondo voluttuose, su una scala a spirale che a tratti sembra quella percorsa da Jeff Buckley anni addietro, verso cieli estremi, nel profondo di sé.

Questa delicatezza tocca un vertice perfino doloroso in Nude, una canzone che voglio immaginare sarà un talismano di bellezza per la nuova generazione, come certe ballate di Nick Drake o la Song To The Siren di Buckley padre e poi dei Cocteau Twins. E’ il brano più incantato del disco, insieme a quella vertiginosa miniatura che è Faust Arp, due minuti e dieci secondi di poesia e sbalordimento: Thom Yorke sembra il cugino di Beck per come gioca con un arpeggio Beatlesiano, smontando l’abituale collage RH per uno schema più tradizionale di chitarra con accompagnamento di archi. McCartney (Blackbird) o Lennon (Julia) una ballata così l’avrebbero stirata con comodo: Yorke la accelera, la stringe, la snocciola in fretta come impaurito del suo cuore dolcissimo.

In Rainbows si apre con la febbre di 15 Step e i suoi fascinosi ritmi scazonti per chiudersi con la severa semplicità di Videotape, quasi un demo per pianoforte e voce su cui Phil Selway interviene con gesti trancianti di batteria. Tra inizio e fine un magico mondo di visionarie tastiere e campionamenti, la voce alata di Yorke, misurate chitarre elettriche e arpeggi (un pezzo di brano si chiama anche così) di acustiche. Verso la mezz’ora, la canzone più sorprendente: House Of Cards ha la meravigliosa souplesse di certi brani anni ‘60 e non a caso serba più di un ricordo di una spiritata canzone di Carole King affidata ai Byrds (Goin’ Back).

Credo che alla EMI si siano mangiati le mani dopo avere ascoltato il disco. Non sono canzoni qualunque ma un album vero e compatto, molto atteso, di altissima qualità: lo avrebbero potuto lavorare benissimo, il che rende ancora più significativo e vero lo strappo di Yorke e compagni. Gli angeli si sono ribellati e ora si vedrà come cambierà il panorama dopo la loro rivolta. Per adesso giusto un pensiero fugace: proprio i Radiohead, gli indiscussi re del rock peso e "difficile," ci insegnano quanto sia leggera e "facile" oggi la trasmissione delle idee musicali.


di  Riccardo Bertoncelli

 
 
 

Post N° 39

Post n°39 pubblicato il 11 Novembre 2007 da RunningToStandStill7

ELVIS E' VIVO!

Libro di Massimo Polidoro

Sotto la lente di Massimo Polidoro sono finite questa volta le "strane morti" dei divi del nostro tempo: da Jim Morrison a Bruce Lee, da Luigi Tenco a Elvis Presley, da Marilyn Monroe a John Lennon, da Pier Paolo Pasolini a Kurt Cobain. Otto personaggi che hanno segnato la storia del costume, della musica e del cinema, tutti deceduti in circostanze spesso poco chiare.
Elvis era morto sul serio o aveva finto un decesso per poter vivere finalmente tranquillo e lontano dai riflettori? È vero che Bruce Lee, il re delle arti marziali, fu ucciso da un sicario della mafia cinese con un colpo segreto di kung fu? Marilyn Monroe è stata davvero avvelenata perché aveva una relazione con John F. Kennedy che, se fosse divenuta pubblica, avrebbe potuto rovinare la carriera del presidente? E ancora, Pier Paolo Pasolini è morto per una violenta discussione fra omosessuali o è rimasto vittima di un agguato organizzato da chi voleva dargli una lezione? È possibile che il cantante Luigi Tenco si sia tolto la vita perché la sua canzone era stata squalificata a San Remo? L'autore si chiede allora se un mito non diventi tale proprio a causa del modo in cui muore. Scomparire al culmine della celebrità e in maniera inaspettata ispira nel pubblico la sensazione che ciò "non sia giusto", e che un personaggio del genere "non possa" morire così. La scomparsa di una celebrità, di un personaggio che ha dettato uno stile e incarnato un'epoca, diventa così terreno fertile per il fiorire delle storie più disparate. Si è pronti a credere a chiunque e a qualunque cosa se questo permette di credere che non si è trattato di una morte naturale ma che, piuttosto, dietro il decesso si nasconda chissà quale mistero.
E la fantasia si spinge addirittura al punto di "inventare" la morte di una celebrità quando è ancora in vita. C'è chi per anni ha creduto che Paul McCartney fosse deceduto in un incidente d'auto nel 1966 e che, per non compromettere la carriera dei Beatles, allora al culmine, un sosia con identico talento artistico ne avesse segretamente preso il posto. Tormentati dal senso di colpa per questo terribile segreto, gli altri membri del gruppo avrebbero allora preso a disseminare i loro dischi di indizi che rivelavano la verità ai loro fan.
Polidoro va allora più a fondo di queste "morti celebri" con lo stile che lo contraddistingue, quello di un investigatore scrupoloso con la passione per il mistero. E lo fa partendo proprio dal racconto della vita dei divi. Vite spesso irregolari, puntellate di difficoltà e dense di angosce, che si concludono prematuramente per una banale overdose o un colpo di pistola alla tempia. Con il racconto della loro vita, le celebrità sono spogliate dell'aura impressa dalla fama e si mostrano come sono, uomini e donne con i propri problemi, i propri difetti e i propri limiti. La loro storia getta quindi una luce nuova anche su una fine discussa e chiacchierata, diventando per Polidoro un vero e proprio strumento di indagine per capire la morte, darle e un senso e, forse, accettarla. L'autore scopre allora che, contrariamente a quanto dichiarato nel titolo, Elvis Presley è morto per davvero. Per Marilyn Monroe è più probabile la tesi del suicidio, mentre dietro la morte di John Lennon c'è solo la follia assassina di uno psicopatico e non un oscuro complotto per eliminare un "ribelle" divenuto troppo scomodo per l'establishment americano. La fine più controversa resta invece quella di Pasolini: contrariamente a quanto stabilito dall'ultimo processo, sembra più probabile che a ucciderlo non sia stato il solo Pino Pelosi, quanto piuttosto un gruppo di persone che avevano deciso di fargli pagare la sua diversità e le sue prese di posizione politiche.

 
 
 

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