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SOLO UN INVOLUCRO


Ascolta la versione audioIo sono un involucro.Nient’altro che un involucro.Sono fermo alla stazione Gemelli. E’ umido qui sotto e il mese di Gennaio non aiuta. Qui, sulla banchina desolata, è appena passato un treno. Chi doveva salire è salito, e chi doveva scendere è sceso. Chi è sceso ha già imboccato l’uscita e sta risalendo in superficie. Alla ripartenza di un treno, c’è sempre, qui sotto, un attimo di quiete dopo la tempesta, una specie di periodo refrattario. In attesa di nuovi passeggeri, nuovi annunci, nuovi ritardi, nuovi treni che passano, nuova gente che sale e che scende. E nuovi “questo momento qui”.Desolato alzo gli occhi e lo vedo lì. Quello che dovrebbe essere il mio destino è a pochi passi da me. Io appoggiato su un sedile, scarto e abbandono di una fumatrice incallita. Per lei sono uno dei tanti. Un semplice involucro usato per arrivare al suo piacere. Che poi, capirai che piacere…Un palliativo, un calmante. Niente di più che l’appagante dello stress che la sta mangiando viva, della noncuranza, dell’incontenibile virus dell’autodistruzione.A me, in fondo, non è che importi molto di lei.Io ho un altro fine nella mia vita. Voglio essere usato e poi, semplicemente, essere gettato via. L’abbandono è infame, ti toglie la dignità, ti mette al pari del niente. Che tu ci sia o non ci sia, quando vieni abbandonato, non c’è alcuna differenza.La beffa peggiore, però, quella che brucia dentro, che ti fa annebbiare la mente, che ti macera solo perché non riesci a comprenderla, è questa. Quella che sto vivendo in questo primo pomeriggio di Gennaio. Il mio cestino è a due metri di distanza.Il mio posto è quello. Nessun altro. Eppure lei, l’accanita fumatrice, ha preferito lasciarmi qui.E non venga a dirmi che non l’ha visto, che non si è ricordata di me o che non ha avuto tempo di alzarsi e fare quei due passi prima che il treno accostasse alla banchina col suo stridore di freni e aprisse le porte. Ha voluto lasciarmi qui. Questi siete voi… Né più né meno di tutto questo. Non ve ne importa niente. Non dico di me. Anche perché non avete e non potete permettervi neanche la sensibilità di immaginare che io possa patire tutto questo. Non ve ne importa niente del posto in cui vivete, della vostra città, dei vostri figli. Dite di amarli. DITE! Ma non ve ne importa nulla. Siete intrappolati nel vostro presente di cristallo, non avete prospettive. Vi siete fatti uccidere dentro da tutto e da tutti. Avete creato i rifiuti e ora mi chiamate rifiuto. Io rifiuto? Ma come vi permettete? Ma chi vi credete di essere? Non avete la più pallida idea di come io sia arrivato qui, di quale sia la mia storia. Non dico di avere un potenziale particolare, ma CE L’HO. Non chiedo niente. Datemi una possibilità. Fatemi arrivare dove voglio arrivare. Non è una richiesta così assurda. Non vi costa niente. Siete la sintesi del “NON”. Della negatività. Mi fa schifo stare in questo mondo insieme a voi.La banchina sta tornando a popolarsi.Li vedo da qui, quelli in attesa. Mi hanno notato.Eppure, non fanno un passo verso di me. Mi vedono qui, abbandonato, in difficoltà. Ad un passo.E non si avvicinano…Mi trattano come un appestato.“Chissà chi l’avrà toccato prima…Sarà tutto sporco…Magari c’è pure qualcosa di pericoloso dentro…”.Ma cosa? Cosa cazzo state dicendo, branco di idioti.Ecco il treno. Altro giro, altra corsa.Ho freddo. E ho anche un po’ paura. L’aria potrebbe spostarmi e farmi cadere giù. E lì sarebbe davvero la fine.Aspetta? Sì, si è fermato. Meno male…Ho ancora una flebile speranza.Vi prego, dai, non restate indifferenti. Guardatemi! Guardatemi, accidenti a voi! Possibile che nessuna delle vostre menti bacate riesca a guardare oltre il mio involucro accartocciato. Ecco la signora che è scesa, col suo carrellino. Figuriamoci…Non vede oltre il proprio naso. L’operaio, il pensionato, la ragazzina. Tzé. Qui non c’è speranza.Sta passando un ragazzo affianco a me…Cacchio, mi ha visto. Mi sta guardando, com’è possibile? Allora io merito di essere guardato. Ti prego, vieni qui, non andartene. Ti prego.