TheNesT

I saldatori (bozza)*


"Era tardi quando ci incrociavamo in qualche strada buia, nella notte di Milano. I nostri mestieri non avrebbero potuto essere più diversi, eppure non potevamo fare a meno di salutarci con la complicità serena di chi sa di sapere cose che la città non immagina nemmeno, ogni volta che svoltato l’angolo scorgevamo le nostre reciproche presenze. Qualche volta, se mi sapevo non visto, rallentavo il passo mentre mi avvicinavo, per guardarli lavorare. I loro volti si illuminavano alla luce intermittente delle saldatrici, in piedi sul pavé divelto,  mentre riallineavano i binari del tram. Era un lavoro di precisione, seppure eseguito con strumenti semplici, di una dignità operaia che sapeva di un secolo ormai ingiallito nei suoi ritratti. Per chi non avesse mai visto la notte, avrebbe potuto sembrare contradittorio quanto silenzioso fosse  il lavoro di sradicare i binari dalla strada, rimetterli in dima, e saldarli nuovamente nella loro sede. Eppure vi assicuro che era così. Il battito del piccone affogava nell’afa della notte, incapace di spiegare quanto sforzo costasse ogni colpo contro il pavimento, e persino il fischio della fiamma ossidrica sembrava soffocasse per mancanza di ossigeno, talmente il caldo. Il suono dei miei passi faceva altrettanto.  Nel quartiere non risuonava alcuna voce, soltanto la luce azzurrognola da dietro qualche sparuta finestra tradiva la presenza di un telespettatore addormentato malamente sul divano. Gli altri boccheggiavano sul letto, oppure trovavano sfogo alle proprie parafilie negli schermi discreti dei loro computer. Persino le prostitute e i trans si erano allontanati da quelle strade, già da qualche anno, alla ricerca di clienti migliori di quei quartieri svuotati, popolati ormai soltanto da pensionati e poveri immigrati. Milano era una città che sembrava comprimersi lentamente nei suoi confini di una volta, specialmente la notte, quando oltre la circonvallazione esterna non circolavano macchine, tantomeno il tram. Finito il mio lavoro la mia destinazione era quella di tornare in quelle zone, per poter dormire qualche ora in un letto vero, e ripartire prima che fosse davvero mattina.  Ero stanco, eppure qualche volta mi fermavo a sedere sulle panchine sporche nel buio dei giardinetti, ad ammirare da lontano il lavoro di quegli uomini che riparavano il mondo,  senza essere visti.I mestieri della notte sono fatti così.Sono i mestieri di uomini e donne le cui famiglie a malapena riconoscono, coperti come sono della caligine che la notte si posa sui sogni, come una volta la rugiada sui fiori, quando contemporaneamente all’alba rientrano a casa per un caffè, tramontando poi con le speranze di un futuro migliore tra le lenzuola sfatte della notte prima."In my secret life - Leonard Cohen (Ten new songs, 2001)* Nelle ultime settimane mi sono un po' perso, preso come sono dal meraviglioso quanto complicato quotidiano che si è preso gran parte della mia vita. Poi, càpitano le notti come oggi: tanto meravigliosamente quiete da immaginare di poterci scrivere un mondo intero, dentro. Eppure non ne viene fuori niente. E si rivela piacevole da attraversare così, scivolando in silenzio come una barca senza remi lungo il fiume, e tanto per sentirmi vivo, rileggo e riscrivo un testo incompleto di più di un anno fa. Per il puro gusto di rileggerlo, e condividerlo, con la stessa soddisfazione vandalica con cui una volta scrivevo parodie di versi sulle panchine dei parchi pubblici.