TheNesT

Amorale


Dal mio vecchio diario, qualche anno fa. Mercoledì 1 giugno 200519.23 A volte non vedo l’ora di tornare a casa. A volte, anche se dovrei sapere che a casa lo studio per la verità non rende poi come dovrebbe. Oggi ho deciso di perdermi in sogni leggeri e stupidi. Stupidi perché..beh, perché. Perché dovrebbero stare confinati in luoghi inconfessabili della mente, in silenzio e al buio. Non salire a galla in pomeriggi solari e freschi come questi. Si riempie di voci il corridoio, io mi sento infinitamente leggero e privo di responsabilità. Non ho davvero nulla da temere: qualsiasi persona potrebbe arrivare qui, e leggere, e immaginare, ma non potrebbe davvero mai indovinare i miei pensieri. Le visioni ancestrali che si sono appollaiate e sedimentate insieme al vino e al caldo nel fondo oscuro del mio cervello. C’è davvero qualcosa di folle in tutto questo? O davvero gli uomini hanno le menti così pure, immacolate? Davvero il nostro disgusto è paura di violare le convenzioni sociali, piuttosto che vero giudizio morale? Insomma, e se nel mio cervello fioriscono –ebbene lo confesso- tali fiori, devo davvero ammettere di essere un folle? Un pazzo! No: un uomo malato, e pericoloso. Menomato alla morale, incapace di concepire altro pensiero che non sia un pensiero decadente, putrido. Eppure no, io sono capace di elaborare concepire pensieri molto diversi da questi, pensieri quasi “alti”, eticamente pieni e solidi, perfino solidi. Pensieri che stanno in piedi, a testa alta col sole in fronte, pensieri che non ho paura alcuna di andare ed affrontare il mondo. Non sono pazzo del tutto, quindi? Ho ancora qualche speranza? Posso guarire? Oppure non c’è nulla da guarire, c’è solo che a volte il nostro io si svolge dietro il tendone, dietro le quinte, oltre la pesante tenda che separa il palcoscenico, di notte, dalla platea. E dietro quel sipario, il mondo è nero e sporco, e in quelle casse impolverate chissà che c’è. Gli abiti di scena dimessi da tempo, forse.  I logori abiti del re folle, quelli profumanti di canfora dell’amante che mai ha paura. Quelli sciocchi dello scolaro timido e umiliato, quelli che tanto mi vergognavo di indossare, ma questo è il teatro, mon amour, e mica sempre si può fare il protagonista, a volte bisogna riempire la scena; e allora via ai figuranti, ai ruoli da comprimario, il mendicante, il passante, la comparsa. E allora via all’attore talentuoso cui tocca fare il morto, lo svenuto, quello con gli occhi chiusi e le membra molli, insomma. A volte bisogna adattarsi, e aspettare. Forse più avanti il ruolo della vita (o la vita, finalmente, al ruolo giusto) arriverà. E bisogna farsi trovare pronti, la battuta pronta e la voce giusta, la presenza scenica che il personaggio esige, come se l'avessimo sempre avuta dentro, e non aspettasse altro che il momento giusto per emergere. Ma quei ruoli umilianti, anche se ce ne vergogniamo, un giorno li abbiamo interpretati anche noi. Ed ora li usiamo per umiliare chi è arrivato solo ora: “fai, tutta gavetta, vedrai che un giorno ti tornerà utile, mi ringrazierai un giorno”, e invece è tutta cattiveria, è tutta vendetta, è tutto odio puro ed istinto di conservazione. Ringraziamo chi così ci ha umiliati, solo per poter giustificare il nostro contrappasso. Come sono andato a finire lontano dai miei sogni, un sasso abbandonato in mezzo al cemento, un bambino ormai stanco di giocare. Uno sciocco. Ecco. Uno sciocco. Song of Joy - Nick Cave (Murder Ballads, 1996)