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Un uomo che si rispetti non ha patria (3)


Anni dopo, fui io stesso a giurare. Una mattina di primavera, dopo un iter lungo qualche anno, e complicato ulteriormente da certe ambiguità del mio nome (anche su questo tornerò a parlare, prima o poi), raggiunsi anch'io lo status di cittadino. Il che a ben pensarci non cambiava nulla: per tutti gli anni passati avevo vissuto la mia vita in seno alla società, adeguandomi alle sue regole e consuetudini, e partecipando alle sue attività economiche e persino civiche, almeno nei limiti del possibili. Insomma: non trasgredivo leggi, lavoravo, pagavo le tasse regolarmente e a parte il voto, non avevo particolari limitazioni alla mia permanenza nel territorio.Ma un bel giorno di primavera (Era davvero un bel giorno. L'aria fresca e il cielo profondo e limpido. Una camicia azzurra stirata la mattina stessa, l'abito blu scuro, la cravatta col nodo ben fatto) venni chiamato a giurare.Che è una ceremonia di una semplicità disarmante, se vogliamo. E se nei miei ricordi quel giorno ha i colori della toccante solennità di cui sono fatti i passaggi della vita, lo devo al vice-sindaco e alle sue buone maniere, le stesse con cui aveva officiato al mio matrimonio, un paio di anni prima. Di quel giorno mi sono rimasti un piccolo attestato, una bandiera piegata che non ho mai esposto, e una copia della Costituzione, i cui principi ho giurato di rispettare. Sono tutti conservati tra i miei ricordi più cari, ad eccezione della Costituzione che conservo nel cassetto del comodino, e di cui ogni tanto sfoglio qualche articolo, prima di addormentarmi.Queste cose fanno di me un cittadino?