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Roma


I turisti si scaldano sdraiati sui gradini delle chiese, come i piccioni asciugano le piume al sole autunnale di Roma. Gli uni e gli altri sono ormai impossibili da non immaginare a spasso per le piazze, tra i banchetti dei souvenir e i calendari che ritraggono una Roma mai esistita, se non nei film in bianco e nero di tanti anni fa. Io non sono da meno. Mio figlio siede davanti a me, le cuffie nelle orecchie ad ascoltare incuriosito l'audioguida che pronuncia parole che, per gran parte, gli sono ancora sconosciute. Mi guarda divertito mentre chiede: "Che cos'è un'abside?" a voce troppo alta, ed io sorrido e gli arruffo i cappelli morbidi, prima di rispondergli con le parole più semplici che ho. Ha compiuto tre anni, alla fine di quest'estate. Intanto la città cammina disordinata intorno all'autobus turistico con cui abbiamo scelto di passeggiare, e sembra aliena a tutti i tormenti che dicono si porti appresso. E' nei pomeriggi luminosi d'autunno, come un paio di giorni fa, che riesci a capire perché la chiamino "Eterna". Intuisci dunque che non è un epiteto temporale, forse più una suggestione di intangibilità, ché la città cammina come incurante della storia che l'attraversa e che non si ferma. Ma alla città non importa. Prosegue indolente tra i semafori del lungotevere e i vicoli che circondano Piazza dell'Orologio, in attesa che faccia sera e che i ristoranti aprano accoglienti la masnada di visitatori che si ostinano, nonostante l'estate sia finita, a venire fin qui.Ed intanto il pomeriggio sposta le ombre dei monumenti sul selciato, e le vecchie pietre parlano tra di loro e nessuno intorno sembra starle ad ascoltare.  I mendicanti si accucciano cenciosi e dignitosi sulle panchine, e noi proseguiamo sempre più stanchi ed insofferenti a mio figlio che si ferma a saltellare tra le pietre antiche.  Il traffico prosegue senza sosta e senza destinazione apparente, e attraversiamo quasi per caso Via del Corso e suoi negozi isterici, Piazza Venezia e i suoi ricordi alteri, l'austero Altare della Patria e i Fori Imperiali, raggiungiamo l'Anfiteatro Flavio e poi saliamo di nuovo sull'autobus, vediamo quasi da lontano la Fontana di Trevi con un gelato in mano, e finiamo quasi per caso a salire la scalinata di Trinità dei Monti nel momento esatto del tramonto. Le gambe stanche ci spingono poi via da lì, alla ricerca infine di un taxi che ci riporti tra i vicoli ormai bui tra Piazza dei Coronari e Via del Governo Vecchio, e anche questo attimo fuggente in mezzo al traffico della sera diventa a modo suo una visita guidata, prima di rifugiarci impigriti da tanta bellezza nell'appartmento che abbiamo preso in affitto, contenti di cenare seduti sul letto davanti alla tv che mio figlio guarda avidamente.Io non so dare un nome a tutto questo. Non saprei dire se sono stato felice, se mi sono divertito, se ho imparato qualcosa in più dell'ultima volta in cui sono stato a Roma. Ci penso un momento ancora, quando nel buio della sera e ormai sepolto sotto le coperte e la stanchezza mi crogiuolo nel pensiero che si, dopotutto, vorrei vivere così per sempre: nella fuggente sensazione di avere ancora una città da visitare, come se fosse la prima volta.