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Emi vicina al collassoVoragine nei conti Niente resta uguale, tutto si trasforma. Consiglio più che mai valido per Guy Hands, ad di Terra Firma, il fondo d’investimento proprietario dell’Emi, l’ormai mitologica etichetta discografica britannica. Che sembra condannata ad essere travolta dall’onda lunga del cambiamento nel panorama musicale. Nello scorso anno finanziario, infatti, Emi ha fatto segnare perdite lorde pari a 1,75 miliardi di sterline. Un’enormità. 
Tanto che Hands è stato costretto achiedere agli investitori d’iniettare altri 120 milioni di sterline per evitare il collasso definitivo dell’azienda. La mossa è stata giudicata «disperata» da quasi tutti gli analisti del settore: il futuro non promette davvero nulla di buono. Destino amaro per l’etichetta che di fatto ha sostenuto e guidato la rivoluzione musicale degli anni Sessanta e Settanta. Cliff Richard, The Shadows, Beatles, Beach Boys, Pink Floyd, Rolling Stones - senza contare mostri sacri della musica leggera come Frank Sinatra. Sono alcuni dei pezzi da novanta che figurano nel catalogo della Emi - nata nel 1931 e diventata nel corso del Novecento un colosso da 5500 dipendenti (dati 2008) e parte integrante del gruppo dei «fantastici quattro» dell’industria musicale globale. Eppure è così. Il Financial Times riporta che Kpmg, revisore dei conti di Emi, ha espresso «seri dubbi» sulla sostenibilità dell’azienda. E pensare che solo pochi anni fa, nel 2002, l’etichetta si permise il lusso di staccare un assegno da 80 milioni di sterline a Robbie Williams per la produzione di sei album. Accordo che, a tutt’oggi, resta il secondo contratto più costoso nella storia della musica. A bene vedere quello fu il canto del cigno. Nell’agosto del 2007, dopo un drammatico calo nelle vendite dei CD, Emi venne acquistata da Terra Firma per 3,2 miliardi di sterline. In quello stesso anno l’etichetta accumulò perdite pari a 260 milioni e vide contrarsi la sua presenza nel mercato britannico dal 16% al 9%. L’epoca della musica digitale aveva visto la luce. Per Emi ha significato l’inizio del declino. Terra Firma optò per la classica cura da cavallo: via 2000 posti di lavoro. Tony Wadsworth, storico capo dell’etichetta con 25 anni di servizio all’attivo, a quel punto gettò la spugna. Era la fine della «vecchia scuola». Due dei gioielli della corona, Sir Paul McCartney e Radiohead, avevano peraltro già abbandonato la nave in polemica con l’azienda: «noiosa», ebbe a dire l’ex Beatles. «Terra Firma tratta la musica come merce», accusò Thom Yorke. Adesso, se Guy Hands non trova il denaro necessario entro il 14 giugno, Emi rischia di finire nelle mani di Citigroup, titolare delle linee di credito. «Terra Firma si rassegni e passi ad altro», scrive l’Ft. Il futuro dell’Emi nel mentre resta appeso a un filo.