¤ La Torre ¤

capodanno d'azzurro


 
   Io sono di gusti semplici. Amo l'odore buono di forno e di pane, le prime ore dell'alba, l'odore del caffè sul fuoco, lo spaccarsi della legna che s'infiamma nella stufa, i gatti che mi guardano con l'aria misteriosa, i cani che mi guardano per vedere cosa faccio, il cielo che appare sempre più impersonale del mare, lassù sopra l'aerovia, più in alto dell'ultima nuvola di riferimento, ad una altitudine che l'ossigeno non frequenta spontaneamente, dove la luce sembra fermarsi, sembra prendersi un attimo di sosta, sembra cristallizzarsi come le formazioni di ghiaccio dentro la carlinga e sulle ali. E dell'ultima nuvola che ne è stato? Era laggiù, appiccicata al suolo, una specie di batuffolo di cotone abbandonato per terra dall'incuria. Per terra, sì, ma non era un pavimento, era una specie di tappeto fatto di province, linee rette, di curve flessuose argentate, del lungo confine tra il mare e la terra, di quell'immobile differenza blu che riflette il sole come uno specchio grande quanto il mondo. Sudavo da dio, a 43° sottozero, anche se il mondo non l'ho fatto io, anche se abbandonato il polmone d'acciaio non respiravo, anche se Falco sembrava dire: aiuto, non ce la faccio più, levatevi di torno! Tanto per cominciare la testa mi ronzava come un nido d'api e poi, quando mi capiterà di rivedere tutto questo ben di dio? Rilassati, Falco, sto pensando, non farmi fretta. Verrà il giorno che avrò bisogno di rivedere tutto questo azzurro, l'aspro freddo moderno azzurro che mi osserva da sopra la spalla mentre io l'osservo da sopra la sua. Verrà il tempo del vecchio nero, misterioso, profondo, assorbente, accattivante, verrà il giorno che non potrò respirare come non posso respirare ora, ma non perchè tratterrò il fiato, sarà certo per un altro motivo, ben più fondamentale. Se sto ridacchiando è perchè mi sento un principe di sangue caldo e rosso come il fuoco ed il mio volo non è stato quello di un aquilone, ma quello di un missile lanciato verso terra, insomma, inseguivo i cieli per ritrovarmi. bello sarebbe l'azzurro sopra questi ulivi stanchi di secoli tra i frantumi d'un muro di sassi da millenni cotti dove l'erba s'acciuffa in questo pomeriggio disteso dalla tramontana Bello era l'azzurro quando da ragazzo spaccavo le zolle con la zappa maledicendo il gelo ed il piede affondava nel fango mattutino il bosco ondeggiava come i capelli d'una dea mentre il naso gocciolava di freddo bello è l'azzurro mentre rammento la mia sicurezza appesa al cielo col mio aquilone tricolore sopra la terra dei campi d'erba smeraldina e nuvole di neve da maneggiare tra le dita come un amante palpa la sua donna a quaranta gradi sotto zero il cuore caldo.