Transmission

Beatrice Antolini - Bioy (2010)


"BioY parla di me, delle mie idee e delle mie convinzioni più profonde. Ho trovato il canale della musica per esprimere la mia vita e la mia interiorità. Vorrei che le canzoni arrivassero prima allo stomaco degli ascoltatori e poi alla testa. Per questo porterò in giro per l'Italia i brani di BioY e cercherò di colpire il mio pubblico con il ritmo e il volume della musica. Non sono per il concerto intimo, acustico; mi piace che uno show sia invadente, che ti lasci senza fiato, uno di quelli che, quando vai a casa, ti lascia pieno di musica. Ed è per questo che mi piacciono le ritmiche della musica brasiliana e di quella africana. Nei miei dischi (compreso l'esordio di Big saloon del 2006) il ritmo viene prima della melodia e sono le parti ritmiche a tracciare il cammino." (Beatrice Antolini, qui).Devo averla già usata da qualche altra parte, ma pare che sia la formula migliore. La musica di Beatrice Antolini non sopporta la catalogazione facile, non la puoi chiudere in una scatola con la sua brava etichettina e fare spallucce. No, le sue canzoni saltellano, si muovono, portano appiccicata addosso tutta una serie di specchietti ritmici colorati che rifrangono la luce in maniera diversa a seconda dell'angolo prospettico dal quale li si guarda. Del resto, che la base ritmica fosse l'elemento essenziale sul quale Beatrice fondava il proprio mondo, la propria realtà musico-esistenziale, pareva innegabile già da A Due, il disco precedente (2008). Album sghembo, rapsodico, per certi versi isterico, pervaso di uno spirito che chiamo _per amore di etichetta_ punk (e lo era, cazzo, nell'attitudine quanto meno); disco spigoloso, col pianoforte in primo piano, una bella verve e tanta generosità di particolari, l'elemento afro-brazilian _di cui parla più sopra_ bene in evidenza (si ripensi alla meraviglia di A new room for a Quiet Life). 
 Beatrice, fedele al motto che chi fa da sé fa per tremilatrentatré, è  polistrumentista alla maniera di Joe Steer, suona e produce tutto quanto: "Ho utilizzato poche cose: batteria, percussioni (sopratutto afro), sax, sintetizzatori (2 un moog e un dx7), piano, basso, chitarra, clavinet e la mia voce. Violoncello e tromba sono stati suonati da Mattia Boschi e Enrico Pasini." Bioy è un passo ulteriore e una conferma del proprio innegabile talento. Gli arrangiamenti smussano le asperità rispetto al disco precedente, arrotondano le forme, la voce si fa più matura, meno gridata, la matrice del disco è più chiaramente funk e in certi casi apertamente danzereccia (ma da dancefloor evoluto, si pensi alla già nota Venetian Hautboy). L'elettronica si prende una parte maggiore che in passato, il pianoforte scivola in secondo piano, il sax baritono di Andy dei Bluevertigo aggiunge note importanti in We're gonna live e Eastern Sun, come pure azzeccatissima sembra la chitarrina acida e tagliente in Piece of Moon e altrove.I brani migliori sono i più esagitati, segno di uno stile e di un modo d'essere oramai ben delineati. Oltre ai già citati, aggiungerei la title track, in cui rispunta il pianoforte, e le aperture metal dell'ultima traccia, quella Night Shd che potrebbe aprire vie nuove per i prossimi lavori. Il disco italiano dell'anno, senza alcun dubbio, il più interessante e ricco di stimoli e di idee e uno dei pochi, credo, spendibile sul mercato estero. Da infilare nel prossimo aggiornamento della classifichina, accipicchia.I link, poi. Messe copiosa di commenti, SentireAscoltare, Ondarock e Vitaminic (che chiacchierano di sovrabbondanza come fosse un difetto, mah!), Indie-eye, Saltinaria, EyeOnMusica, Rock-it (con streaming integrale dell'album), nokiaplay (con un commento brano per brano della stessa Antolini), Indie for bunnies, Storia della musica, e una buona intervista (qui una più vecchia da ondarock). That's all, folks!