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Robyn Hitchcock, live a Dalmine, Bergamo - 15/04/2011

Post n°104 pubblicato il 17 Aprile 2011 da syd_curtis
 

 

Ero in terza fila, la poltrona verde dava sul corridoio centrale. Robyn mi ha sfiorato, passando, alto massiccio, la polo a righine e la sciarpetta verde, accompagnato da Jenny. E' salito sul palco per una scalotta semovente, poi spostata a forza di braccia da Gigi Bresciani, l'organizzatore tuttofare, fotografo missaggio spostascale e pippiolotto amaro preconcerto. Si è avvicinato all'amata acustica, l'ha accarezzata con un dito, ha soffiato in un pezzetto di armonica che stava sulla sedia e ha pizzicato una corda come per capire se l'animella era pronta e tesa a puntino. Poi se n'è andato a scaldarsi nel retropalco.

Dio, immaginare Robyn Hitchcock a passeggio per Dalmine è davvero troppo. Robyn che guarda verso il Pellicano, accarezza l'astona della Tenaris, si fa un moment alla farmacia De Micheli o un cappuccino al Caffè del Viale e una sfiatatina d'armonica in coda alla Lidl. Ogni volta che mi capiterà di passare dal teatro civico, in via Kennedy al 3, d'ora in poi, dirò cielo qui è passato Robyn Hitchcock, a questa ringhiera ci si è aggrappato, roba da leccare lo scalino dove ha posato la suola.

Il Teatro è freddo e funereo, con i suoi lampadari decotti e la semplicità scheletrica del palco. Correnti d'aria artica a precipizio dal soffitto (ne ricaverò un tragico mal di gola). Il teatro è mezzo pieno (mezzo vuoto, per gli organizzatori). Sfortunato chi non c'era, e si potrebbe chudere qui. Splendido, splendido concerto acustico in compagnia della sola Jenny Adejayan, violoncello, ché la band intiera costa troppo e i soldi per la cultura son quelli che sono. Serata che scalda il cuore e fa rabbia e amarezza, perché Hitchcock meriterebbe altre platee, ben altri teatri, pur nel rispetto e nell'ammirazione per chi lo ha portato fin qui, tra il parchetto dei bimbi e lo slarDo di largo Europa, in un concerto a bassissimo impatto ambientale (ci arrivo a piedi in bici in monopattino). Amarezza che traspare chiara dalle parole introduttive dell'assessore alla cultura e ancor di più da quelle di Gigi Bresciani di Geomusic. Delusione per la risposta del pubblico, buona solo in occasione del concerto della settimana passata dell'evergreen Elliott Murphy (vorrà dire che la prossima volta organizzeremo quattro date del solo Murphy, scherza amaro bresciani). Gigi ricorda che i pochi spettatori consentono a malapena a Geomusic di sopravvivere, ma non si dà per vinto, la gente deve ricominciare a uscire la sera, alla forca berluschino e le sue televisioni del cazzo, e sciorina alcuni nomi che porterà in Italia presto, da Tolo Marton con Hugo Race a Ian Matthews (fondatore dei fairport convention); più alcuni sogni illustri che ha in agenda e che vorrebbe catturare, come Jonathan Richman, Graham Parker (Bresciani, ti amo!), Low Anthem. Sarebbero gran bei colpi. Intanto, per Andar per musica , la rassegna estiva della provincia orobica, si è assicurato Matthews Southern Comfort a Seriate (5 Giugno, prima volta in Italia) e Ryan Bingham (evviva!) a Sarnico, il 19 Giugno.

Il concerto è introdotto dai Rusties, orobici, che ci tengono a precisare (scherzosamente) che non sono loro a incidere sul conto spese: siamo fuori dal budget, dirà Osvaldo Ardenghi il chitarrista che somiglia a Pinketts (solo d'aspetto, per fortuna). Rusties sono tre questa sera, Marco Grompi e Ardenghi alla voce e chitarra acustica e la graziosa violinista Jada Salem. Rusties che vengono da lunghi oscuri anni di gavetta come (apprezzata) tribute band di Neil Young e ora camminano con le loro gambe, solidissime a giudicar da quel che si è ascoltato. Appena uscito il nuovo album, Wild Dogs, di cui hanno presentato alcuni pezzi, tra i quali Not enough love e Lose my love. Riferimenti chiari alla Westcoast, ballatone country rock usa, da Young in giù. Canzoni amabili, la voce notevole di Grompi, gli arpeggi funambolici di Ardenghi, vero mago della tastiera, in alcuni tratti anche slide con l'immancabile tubino sul dito, e il contributo azzeccato e mai retorico del violino di Jada. Canzoni che hanno scaldato il cuore (e i nasi intirizziti) della platea, in attesa del mito.

 

 

Risolto un grave problema tecnico (la toilette non funzionava :-D), eccolo tra noi. Il Mito è altissimo, veste la solita camiciola sobria a fiori lilla, ciuffone di capelli bianchi (sono apposto i nostri capelli, sì?). Sul palco è di una simpatia contagiosa, nel suo buffissimo italiano da bable fish. Palesemente divertito, introduce quasi ogni brano con traduzioni strampalate e surreali di titolo e contenuti, come (cito) i cavalli selvaggi con ricotta, o la spina e la corda rotta della chitarra, i capelli nel gelato, gli orangi del beatifico papa, o la mamma con la melanzana il papà con i pantaloni e gli zucchini (questo era per Sounds great when you're dead). Spruzzatine di british humour: raccogliendo il plettro (rosso) dalla sedia (come si chiama questa, sebia, sevia, sedia, sì?) dice, questa sedia è rossa perché il plettro è rosso.

Il suo show inizia come meglio non si potrebbe, I often dream of trains, una delle canzoni sue che amo di più. Al di là della consueta e nota perizia chitarristica (Robyn sembra uno che con la chitarra ci va a letto: in questo caso, la vecchissima, carissima, irascibile acustica consunta che potete vedere nei video di utube e nella foto qui in alto, è sempre lei, sempre lei, la chitarrina, e poi l'immancabile armonica), più che la perizia dicevo (dio, come muoveva le dita cambiando accordo, pareva un balletto da funambolo sul filo) stupisce di lui la voce, la nota voce nasale da regazzino a dispetto dei 58 anni suonati, perfetta ancora per cantare Barrett. E la surrealtà consueta, che non lo abbandona mai: sembra uscito da Alice in Wonderland, surrealtà giocosa, malinconia psichedelica. Voce perfetta, mai una sbavatura, mai un cedimento, applausi. Non è scontato, affatto. Hai sempre paura che in studio si inventino qualcosa, allunghino, aggiungano, rimixino. Invece no, la voce è la SUA. Con la chitarrina da bambino riempie da solo il palco, e la sala, fredda per il clima, è per e con lui da subito caldissima.

Il repertorio che sciorina copre una bella fetta della sua produzione su disco, da I often dream of trains a Queen of eyes (addirittura dei leggendari Soft Boys!), da The wreck of arthur lee (canzione da due minuti, anzi due minuti meno cinque secondi) a Luckiness (unico pezzo di propellor time eseguito) da Sounds great when you're dead alla splendida Museum of sex (museum e pensiero vecchio vecchissimo: sex), da Up to our necks (da Goodnight Oslo) a due brani dal nuovissimo album, Tromso kapstein: Old man weather e Dismal city. Chiusura su Ole!tarantula, esecuzione impeccabile e trascinante, con Robyn all'armonica. Arricchente il contributo ritmico e melodico del violoncello di Jenny.

Poi gran finale emozionante con tre bis inaspettati (tre canzioni di piùù), tre cover. A day in a life dei Beatles (canzione very old, di prima di princess Diana), accompagnato da Grompi dei Rusties, visibilmente emozionato e intimidito, chi non lo sarebbe (mai avrei pensato vent'anni fa di essere qui su questo palco in compagnia di robyn hitchcock!), con Robyn a mimare le Ooooh di Lennon Mc Cartney; a seguire Crystal Ship dei Doors (wow) e una fantastica, delicatissima, struggente River man di Nick Drake. Epilogo, inchini.

Che dire ancora, concerto memorabile. Gigi di Geomusic diceva che c'è l'intenzione di riportare Robyn da noi presto, nella sua versione di cover man, interprete di Beefheart, Beatles e di se stesso nella versione Ragazzo Soffice (Underwater Moonlight). Incrociamo le dita.

 

 

 
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