Tra parentesi

Post N° 11


Un giro di giostra C’era una volta una piccola giostra al centro della piazza di un piccolo paese. Difficile dire da quanto fosse lì, le mamme che vi portavano i bambini nei pomeriggi di primavera si ricordavano di esserci salite anche loro quando avevano l’età dei loro figli e con emozione rivivevano quel giro di giostra che era talvolta un premio faticosamente guadagnato. La giostrina era sempre la stessa, con i suoi cavalli bianchi e neri, dal muso ormai un po’ scolorito, che trainavano la diligenza dei cowboy e con la carrozza di Cenerentola fatta a forma di zucca accanto all’astronave colorata degli extraterrestri che accendeva le sue lucine mentre si alzava e si abbassava. Quei cavalli che nitrivano al vento sembravano sempre non gradire troppo la presenza davanti a loro di un piccolo camion dei pompieri dalla luce rossa lampeggiante, ma non per questo non facevano il loro dovere e portavano in groppa da anni decine di bimbi che si arrampicavano su di loro a fatica, aggrappandosi al loro collo, e una volta conquistata la posizione, felici salutavano con la manina le mamme orgogliose. I cavalli erano i più ambiti, ma non era facile scegliere: sentirsi per una volta principessa nella carrozza di Cenerentola o giocare ai cowboy nella diligenza? Poi, saliti tutti, la giostrina si muoveva, prima piano piano, quasi a far abituare i piccoli ospiti a quel movimento, quindi un poco più forte … ed intanto partiva la musica. Quel giro era una vera emozione, combattuti tra il tenersi ben stretti, come aveva suggerito la mamma, e il lasciarsi un po’ andare, i bimbi sorridevano contenti e gridavano di gioia. Solo un velo di tristezza offuscava il bellissimo gioco: il giro sarebbe di lì a poco finito, perché lo sapevano che non durava molto e non sarebbe stato forse possibile farne un altro. Però all’improvviso compariva una possibilità. Attaccato ad un pupazzo, appeso a un filo sopra le teste dei bimbi, con una molletta il giostraio appendeva una lunga morbida coda di pelo: tirando il filo l’uomo faceva volteggiare il pupazzo nell’aria, su e giù, ed i bambini allora allungavano le mani e le braccia per cercare di afferrare il codino. Prendere e staccare la coda del pupazzo era quello l’obiettivo e qualunque bambino lo sapeva perché quel trofeo significava essere il vincitore, fare un altro giro sulla giostra. Che emozione! E allora grida, frastuono e gioia si mischiavano con la voglia di vincere; quando il codino ti passava accanto e ti sfiorava, non dovevi avere paura dovevi lasciare le briglie del cavallo e alzarti in piedi per prenderlo. Talvolta non si riusciva, non si era stati abbastanza forti e coraggiosi, lo avevi avuto per un secondo nelle tue mani ma non avevi tirato, ti era sfuggito… la delusione era grande, soprattutto se a staccarlo era poi il bimbo accanto a te. In quel momento ti giravi a guardare con occhi feroci il giostraio che muoveva il filo e avresti voluto chiedergli perché a lui l’hai lasciato prendere e a me no? Ma mentre pensavi questo il giro era ormai finito, la giostra si stava fermando e il bimbo seduto sull’astronave accanto a te, felice, mostrava alla mamma il suo trofeo e decideva dove fare il prossimo giro. Qualche piccolino piangeva quando si fermava la giostra, non voleva scendere e si disperava. Ma le regole del gioco erano quelle, si doveva scendere finito il giro anche se non si sapeva bene se e quando ce ne sarebbe stato un altro.