TrattatodiRoma2004

quarto paragrafo del capitolo uno


   La nozione di Trattato  Le categorie giuridiche, attraverso cui si rappresentano le forme di organizzazione del potere politico democratico, si collocano nello jus publicum europeum, che designa il diritto internazionale e continentale che si sviluppa come sistema di relazioni giuridiche fra Stati moderni, cioè realtà politico – istituzionali che sorgono a partire dal XVI secolo e  vengono riconosciute dal Trattato di Westfalia (1648), con cui hanno termine le ostilità della Guerra dei Trent’anni. Nella cittadina renana si qualifica Stato tutte quelle società politiche territoriali, contrassegnate da un’assoluta indipendenza ed originarietà sia dal Papato sia dall’Impero, ossia dal “superiorem non riconoscentes”[1], formula estranea al panorama abitato da innumerevoli soggetti titolari di potestà pubbliche (Comuni, feudi, abbazie …) durante il Medioevo, per merito della quale, lo Stato rappresenta in quegli anni e in tutti gli scritti politici successivi, una nuova forma di ordinamento a base territoriale, caratterizzato dall’universalità dei suoi fini[2] , a cui si applica il concetto di sovranità[3]. La sovranità possiede, oltre agli attributi dell’indipendenza e dell’originarietà, un contenuto positivo: la supremazia dell’ordinamento statale e dell’apparato autoritario da esso istituito. Lo Stato, pertanto, è l’unico sovrano, perché, se esistono pure altri ordinamenti originari, questi non sono supremi e circolarmente, gli ordinamenti non statali dotati di un apparato autoritativo non sono originari[4]. Infine, il principio di esclusività riguarda l’integrità del territorio dello Stato, dove la sua autorità si oggettivizza in atti tipicizzati, emanati dagli organi dell’apparato autoritativo, e formali a cui attribuisce particolare efficacia: la forza della legge, l’esecutorietà dell’atto amministrativo e la cosa giudicata della sentenza definitiva. La cosiddetta Westphalian Sovereignity, che è la “sovranità concepita come indipendenza da vincoli esterni e scudo insormontabile contro l’intervento negli affari domestici degli Stati”[5], dà inizio alla dialettica tra le summa potestas degli Stati sovrani in posizione di parità ed uguaglianza, creando l’ordinamento internazionale. In esso, la sovranità denota non una situazione giuridica soggettiva, un potere, ma l’insieme dei presupposti per l’acquisizione di una varietà di situazioni soggettive: obblighi, diritti, poteri[6]. Il suo principio peculiare, inoltre, è il “decentramento delle funzioni”[7], in cui, a differenza dell’ordinamento nazionale, le funzioni di produzione, accertamento e realizzazione coercitiva del diritto non sono concentrate in determinati organi, distinti dai soggetti dell’ordinamento. Nello jus gentium, la giurisdizione ha base consensuale e i soggetti, gli Stati, procedono personalmente e direttamente, tramite l’autotutela, alla realizzazione di un diritto. Le regole sono poste in essere da coloro che ne formano i destinatari, così che la produzione giuridica è autonoma, mentre l’eteronimia appartiene alle comunità politiche pubbliche, essendo il Parlamento distinto dall’insieme dei cittadini a cui sono rivolte le leggi. Fonte del diritto internazionale “particolare”, vale a dire vincolante solo per un certo numero di soggetti/Stati, è l’accordo, che non presenta differenze sostanziali con i concetti di trattato, convenzione, intesa e patto. L’accordo o Trattato, che implica un incontro tra volontà identiche[8], può essere bilaterale, quando si presuppone un solo scambio di volontà fra i coinvolti o multilaterale, in cui la volontà di ogni contraente, o Parte, s’incontra con tutte quelle delle altre Parti. Al pari di tutte le fonti produttrici di norme giuridiche, i Trattati possono dar vita a regole materiali, che ordinano direttamente i rapporti tra i contraenti, stabilendo diritti e obblighi, e strumentali o formali, che, al contrario, istituiscono  fonti per la creazione di ulteriori norme: una particolare importanza pratica della distinzione è costituita dai Trattati creativi di organizzazioni internazionali, che fungono anche da Statuti dei sistemi creati, che disciplinano direttamente i rapporti fra Stati e soprattutto, rimettono, in diverso modo, agli organi sociali la produzione di altre norme. I Trattati sono sottoposti ad una serie di norme consuetudinarie, che, come le loro omonime del diritto interno, si fondano sulla diurnitas o prassi e sulla opinio juris sive necessitatis[9], ne regolamentano il procedimento di formazione e i requisiti di validità e di efficacia: questo forma il così conosciuto diritto dei Trattati, a cui è dedicata la Convenzione di Vienna del 1969, “trattato sui trattati”[10], promossa dalle Nazioni Unite e ratificata dall’Italia con L. 12.2.1974, n.112, che riguarda gli accordi fra Stati conclusi in forma scritta. Il Trattato è per i teorici del diritto, alternativo alla Costituzione: appartengono a due universi distinti[11]. Per il droit des gens, le cessioni di sovranità delle Parti sono misurate dalla reciproca obbligazione e non contemplano un’unità politica, che viene determinata per mezzo della Costituzione. Nell’ incipit del celebre articolo sull’European Law Journal, Dieter Grimm esprime in modo chiaro l’inconciliabilità delle fonti interna ed internazionale: “Le Costituzioni danno il fondamento giuridico agli Stati. Le istituzioni internazionali hanno invece il loro fondamento nei trattati (Verträge) di diritto internazionale.”[12]  [1]  Per approfondimenti sulla nascita degli Stati moderni, vedasi: C. FARALLI, Stato, in A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Bologna, CLUEB, 1996, pp. 95 ss. [2]  “Da cui la qualifica di ente politico, ovvero di ente che sceglie da sé i fini da perseguire”. Così A. VIGNUDELLI, Diritto costituzionale. Prolegomeni Principi Dinamiche, Torino, Giappichelli, 1997, p. 8.  [3]  M. TROMBINO, Sovranità, in A. BARBERA (a cura di), op. cit., Bologna, CLUEB, 1996, p. 73, si esprime: “La parola e il concetto di sovranità sono applicati soltanto allo Stato. Non designano una delle tante forme del potere, o del fondamento giuridico del potere di qualcuno su qualcun altro o su qualcosa”. [4]  Sul punto, si vedano le considerazioni di T. MARTINES, Diritto Costituzionale, Milano, Giuffrè, 1978, pp. 179 ss. [5]  Vedasi S. MANNONI, Relazioni internazionali, in E. PACIOTTI (a cura di), op. cit., p. 211. [6]  Cfr. R. GUASTINI, Lezioni di teoria costituzionale, Torino, Giappichelli, 2001, p. 49. [7]  Cfr. N. RONZITTI, Diritto internazionale, Torino, Giappichelli, 2001, p. 6. [8]  Così, F. CAPOTORTI, Diritto internazionale, Milano, Giuffrè, 1995, p. 113. [9]  B. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 1995, pp. 34 ss. nota che: “Una simile concezione, detta dualistica, non ha avuto però unanimità di consensi in dottrina. (…) L’opinio juris non sarebbe dunque uno degli elementi bensì l’effetto psicologico dell’esistenza della norma, presupponendo pertanto che questa si sia già formata.” Tuttavia: “Se si esamina la prassi dei Tribunali internazionali, si può avere conferma della tesi secondo la quale, nell’opera delicata di ricostruzione di una consuetudine internazionale, entrambi gli elementi debbono venire in rilievo”. Ed infine: “A parte poi la prassi giurisprudenziale, sempre gli Stati si sono pronunciati nel senso che l’opinio juris fosse indispensabile per l’esistenza della consuetudine”.  [10]  In N. RONZITTI, op. cit., p. 133. [11]  Lo nota M. FIORAVANTI, Un ibrido tra “Trattato” e “Costituzione, in E. PACIOTTI (a cura di), op. cit. , p. 18. Della medesima opinione G. TOSATO, Il nuovo Trattato costituzionale per l’Europa: Trattato o Costituzione?, in Queste istituzioni, 2003, 130/131, p. 32: “dove vi è un Trattato, non può esservi una Costituzione; e viceversa, se c’è una Costituzione, non può esservi ( o non può esservi più) un Trattato.”  [12] Cfr. D. GRIMM, Una Costituzione per l’Europa?, in G. ZAGREBELSKY, P. PORTINARO, J. LUTHER (a cura di), op. cit., p. 339.