Creato da Dream_Hunter il 08/09/2006

TrovaTeStesso

Ognuno di noi è in cammino per trovare se stesso ................................................... La vita e' cosi'. Non fai nemmeno in tempo a guardarti indietro che ti e' scivolata tra le mani, come la sabbia, come l'acqua del mare. Tra le dita non resta che polvere d'esistenza e i ricordi rimangono impigliati tra le unghie. Un instante tra due silenzi infiniti che urla la sua volontà di esistere, una luce nel buio che lascia una speranza per chi ci ha visto brillare. Dream Hunter

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LA PORTA

Eccomi, sono qui. Davanti a quella porta chiusa da millenni.
Il tempo e la sua storia l'hanno chiusa per sempre.
Piove ancora, l'algida mano s'accosta al ligneo muro e le nocche tremanti intonano un lamento sordo.
L'eco di quella ritmica richiesta trova di nuovo quell'unica e
taciturna conferma.
Oltre, io so che si nasconde molto, molto altro:
un fuoco che arde senza scaldare nessuno; uno specchio rotto dai ricordi di un passato dannatamente presente; un orcio colmo di lacrime mai piante ed un scrigno pieno di felicita' mancata.
Con un passo lento ma sicuro volto le spalle a quell'antro di ignote paure.
E torno a vivere ove il mio destino mi porta.

E voi da quale parte della porta siete?

 

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I binari del cambiamento

Post n°261 pubblicato il 01 Maggio 2023 da Dream_Hunter

Sembrava essere un giorno come tanti. Uno di quelli che finisce sprofondando nella noia e nella normalità di una routine che ormai ti accompagna da anni e che più e più volte avevi deciso di rompere senza mai averne avuto il coraggio. Un giorno che sembrava essere come la vita che pensi di vivere ma che in realtà ti scorre addosso come un film girato da qualcun altro che a volte speri abbia almeno un lieto fine ed altre che sfugga all’inesorabile conseguenza di una inerzia dettata dalla paura del cambiamento. Ed alla fine quel cambiamento inaspettato arrivò. L’esasperazione di una monotonia senza soluzione di continuità fatta di lavoro, famiglia, di un rincorrere obiettivi ogni anno sempre più lontani mi avevano portato a cercare un destino diverso. Quel cambiamento si trovava a oltre cinquecento chilometri da casa ed aveva le sembianze di un nuovo lavoro. Un lavoro completamente diverso da quello che avevo ma che, nella sua diversità, rappresentava quel punto di rottura di cui avevo bisogno per ricominciare a vivere. I tempi erano stretti. Feci il biglietto per il Freccia Rossa 1000 Roma Milano la sera stessa che ricevetti la notizia dell’assunzione. Il treno partiva presto da Roma e quella notte di fine primavera contai tutte le stelle in cielo ed i primi raggi del sole dell’alba. E sembrava non finissero mai fino al suono scocciato della sveglia che mal aveva sopportato il mio contare notturno che sviliva la sua stessa funzione. Ero riuscito a prenotare un posto vicino al finestrino benché a quelle velocità c’era poco da vedere. Il guardare fuori mi dava un senso di libertà in più ed avevo bisogno di “evadere” per quelle tre ore di viaggio fuori dalla realtà: raccogliere i pezzi del mio passato recente e trovare un buon collante emotivo per i nuovi che dovevo mettere insieme per creare un diverso disegno di vita. Nonostante l’estate fosse quasi alle porte l’aria frizzante di quel mattino mi accompagnò fino alle scalette del treno e non ebbi difficoltà a trovare il mio posto. Mi calai subito nei miei pensieri tra il calpestio dei viaggiatori che cominciavano ad occupare restanti posti della carrozza e il parlottio tipico di ogni stazione che cadenza la partenza o gli arrivi dei treni con i suoi avvisi oramai monopolio di complessi automi dalla voce metallica. Di lì a poco giunse anche quello che sarebbe stato il mio compagno di viaggio per tutta la tratta. Era uno di quei tipi a cui non riesci a dare un’età precisa ma solo a capirne i contorni e metterlo in una di quelle categorie che il tuo cervello racchiude nel suo armadio speciale degli stereotipi. Nella sua formalità rappresentava la mia antitesi a partire dal suo vestire elegante, con il suo completo blu tinta unita che sembrava appena uscito dalla tintoria e una cravatta di quelle che stringono il collo fino a soffocare anche il minimo principio di diversità tutto concentrato come era sull’omologazione e sul modello di chi, e si vedeva senza ombra di dubbio, era lanciato in una folgorante carriera lavorativa. Mi sentii quasi in difetto ed un po’ fuori posto in quel contesto con i miei jeans di lungo corso e il mio maglioncino di cotone colorato con la zip che raccoglieva senza non poco sforzo la mia eccedenza lipidica da over cinquanta. Un buongiorno freddo sancì le distanze tra di noi che divennero ancora più marcate dopo che lo schermo del suo portatile cominciò a riverberare sul finestrino le immagini della solita presentazione fatta più per stupire chi gli stava di fronte che per dimostrare qualcosa di concreto a chi gliela aveva commissionata. Era da tempo che non viaggiavo seduto in carrozza. Un tempo le distanze si annullavano alla prima stazione superata dal treno e tante volte si finiva a raccontarsi e raccontare la propria vita a perfetti estranei con la quasi certezza di non rincontrarsi più. Una confessione on the road in cui verità e bugie avevano lo stesso peso leggero della libertà con cui venivano messe in piazza. Un esercizio di equilibrismo tra la vita che si stava vivendo e quella immaginifica e alimentata dai nostri più reconditi ed inconfessabili segreti che avremmo voluto vivere veramente e forse più intensamente. Tante sono state le interpretazioni, tanti gli stessi episodi di vita raccontati con aggettivi e colori sapientemente scelti per adattarsi all’interlocutore che di volta in volta aveva la fortuna o sfortuna suo malgrado di sedersi accanto o di fronte a te. Tutto sommato anche la coscienza non pareva farsi sentire più di tanto anche quando i fatti raccontati si discostavano un tantino troppo dalla realtà. Non si faceva del male a nessuno e si aveva la possibilità di rivivere sé stessi ogni volta con una foggia diversa pur rimanendo fedeli a quella morale, vera o falsa che fosse, che si cercava di far intravedere in ogni susseguirsi di immagini e parole a corredo di quelle storie. Altri tempi, altri modi, altra socialità e voglia di condividere e condividersi. Il treno finalmente lasciò la stazione e il passaggio sugli scambi scandì con sempre più eloquenza quel districarsi di strade ferrose verso la destinazione finale. Mi sentivo carico. Carica anche la mia mente che correva veloce a quei giorni futuri in cui i miei successi mi avrebbero ripagato dei miei sacrifici e reso felice di aver preso quel treno che non fa fermate e che ti porta direttamente a destinazione. Quanto corri amico mio sussurrò una voce dal fondo dell’inconscio. Quanta fretta hai di arrivare! Quell’impulsività che aveva fino ad allora corso a briglia sciolta ebbe un arresto improvviso lasciando il posto a quel manipolo borbottante di dubbi, di se e di ma che erano stati nascosti dall’onnipotenza della novità. L’avvicinarsi di quella meta, di quel nuovo inizio, mi portarono alla mente tutti i dubbi, le paure, le distanze che quella mia nuova scelta stava in un certo modo creando. Sto facendo la cosa giusta? È davvero il lavoro che fa per me e che mi avrebbe consentito di realizzare finalmente le mie aspirazioni? Oppure era semplicemente un modo, neanche troppo elegante, di fuggire dalla normalità? Il panorama fuori dal finestrino aveva i tratti indefiniti degli impressionisti in cui i colori e le forme sfumano, si confondono: si percepisce l’insieme ma si perdono i dettagli. Un po’ ciò che stava accadendo alla mia vita. Tanti punti interrogativi che si affollavano nei miei pensieri e che la solitudine della mia scelta non aiutava a dipanare. Mi ripetevo allora che il nuovo avrebbe cambiato la mia visione delle cose, mi avrebbe consentito di dare un futuro migliore ai miei figli, di vivere in un contesto dinamico in cui le nuove idee fanno parte del quotidiano e non di un futuro prossimo venturo. Siamo sempre intenti a guardare lontano per cercare di immaginare cosa accadrà nella nostra vita ma poi ci rendiamo conto che sono solo ipotesi che spesso non passano il vaglio di una realtà che in solo tre ore, in quella circostanza, avrebbe cambiato ciò che ero stato nei trent’anni precedenti. Si stava bene nella comfort zone che la sicurezza delle abitudini aveva creato con il tempo. Nessuna preoccupazione oltre il dovuto, nessuno spasmo o contrazione dello scorrere umano delle cose, le stesse, sempre. Quasi un assopirsi volontario per scoraggiare quei moti d’animo che vorrebbero vederti protagonista di altre storie e magari di un’altra vita completamente diversa. La frittata era fatta ormai ed il tempo correva come quel vagone lanciato tra gli appennini con la foga di chi non voleva arrivare tardi a quell’appuntamento. E quel cambiamento schizofrenico dei paesaggi sembrava rappresentare bene le mie emozioni, l’ansia del cambiamento imminente, la scelta che non lasciava più aree grigie e possibilità di appello a quell’inerzia che mi aveva accompagnato per molto tempo, forse troppo. Tutti i cambiamenti spaventano. Spaventano perché al nostro cervello piacciono le cose sicure, i percorsi certi, i punti di riferimento che abbiamo già collaudato a suo tempo e che cambiano o distorcono, a loro modo, la prospettiva di vedere la vita e le cose. Vittime inconsapevoli di questa atavica e primordiale paura cerchiamo di andare oltre bevendo un sorso dal bicchiere della follia. Quel tanto che ci faccia deragliare dai binari della razionalità e ci consenta di abbattere i muri che abbiamo costruito con i mattoni del pregiudizio e con il cemento dell’egoismo umano. Quando il cambiamento si è impossessato di te non riesci più a guardare indietro, a trovare il tempo per riflettere ancora. Sei avvolto nella nube di quella valanga che inesorabilmente scivola lungo il pendio trasportando con essa tutto ciò che eri e trasformandolo in una sconfinata distesa bianca come la prima pagina di un libro dove incominciare a scrivere un’altra storia trascurando i tuoi ricordi e soprattutto ciò che quel cambiamento lo ha scatenato. Un sibilo e poi quella strana sensazione di orecchie ovattate e compressione dei timpani tipici di quando si affronta una galleria mi risvegliò da questo mio vagare neurolettico e mi riportò alla realtà che si stava consumando mentre ero seduto lì ad ascoltare me stesso. Fino ad allora avrei potuto dire che era stato un sogno così come tutte le mie riflessioni, le mie paure, il mio tornare indietro per giustificare quella scelta ma non era così. La luce squarciò le tenebre e ci lasciammo alle spalle anche quell’ultimo tunnel ed io forse i miei dubbi che fino ad allora mi avevano accompagnato. Un atto di coraggio estremo e di rispetto verso me stesso e la mia scelta che mi aveva portato a lottare contro le lusinghe di un passato che per un tratto del viaggio mi era apparso irrinunciabile e a cui dovevo in parte quella possibilità. Dopo i convenevoli mattutini i nostri sguardi non si erano mai incrociati: lui sempre intento a completare la sua presentazione ed io perso nelle mie dissertazioni esistenziali intracraniche. Fu un momento strano, quasi dettato dalla voglia inconfessabile di capire, di entrambi, chi fosse la persona seduta di fronte e cosa, in un certo senso, avesse da nascondere. Quegli occhi verdi incastonati nelle lenti dei suoi occhiali avevano un non so ché di famigliare, sapevano di dejà vu. Non capivo di cosa si trattasse ma ero certo che le nostre strade si fossero già incontrate. E più mi sforzavo di capire il quando ed il come e più quella sensazione diventava forte e concreta ma allo stesso tempo la sua identità diventava inafferrabile. Pensai a quanto fosse strana la vita e a quanti incontri essa ti facesse fare durante tutta la tua esistenza e che solo apparentemente non avevano un senso ma che con il passare del tempo forse ne avrebbero avuto. Quando l’argento ti tinge le tempie certi incontri ti fanno pensare più di altri. Quello che tu cerchi di etichettare come casualità diventa un modo poco elegante per sfuggire da alcune certezze: lo sai che è così ma non lo vuoi ammettere. È una sensazione che ti pervade interamente e non ti lascia scampo. Colpa o merito di una maturità senile o della dura scuola dell’esistenza. Di quell’incontro di occhi rimase solo il silenzio. Un silenzio fatto di un tutto che saziava inspiegabilmente i miei perché e riduceva a zero la necessità di cercare una interazione verbale. Il paesaggio fuori dal finestrino era cambiato. La pianura aveva preso il sopravvento sui rilevi appenninici e si cominciava a respirare già l’aria della metropoli lombarda. L’immanenza dell’arrivo e certe incombenze fisiologiche non più rimandabili mi costrinsero a fare due passi lungo il corridoio della carrozza prima della discesa. Tutto quel pensare e discutere dentro me stesso e quello strano e silenzioso compagno mi avevano assorbito totalmente lasciandomi addosso un’insolita calma forse anche frutto dell’incoscienza del primo giorno lavorativo che mi apprestavo a vivere. A fatica si distinguevano palazzi e case dell’hinterland milanese. Una foschia tardiva rendeva i contorni del panorama sfumati dandogli un senso di leggerezza quasi a voler celare quelle radici di cemento che legavano cielo e terra in quel tratto di viaggio che scorreva al di là del vetro. Ripresi il mio posto e nonostante la comodità dei sedili qualche doloretto qui e là fece capolino quasi a ricordarmi della mia non più giovane età. Visto l’approssimarsi dell’orario di arrivo in stazione cominciai a raccogliere le mie poche cose ed indossai il mio giubbino in modo da essere pronto alla discesa. Tornò di nuovo a farsi sentire per l’ultima volta quel incrocio di parallelismi ferrosi ed il loro vocio insistente e cadenzato tra le ruote ed i carrelli che vi scorrono al di sopra. Mentre il treno rallentava per l’ultima volta mi si avvicinò con fare scherzoso il capotreno dicendomi che ero stato un viaggiatore fortunato avendo pagato per un posto solo e essendomi goduto anche lo spazio del passeggero di fronte che, previsto in partenza da Roma, non si era presentato. Quella affermazione mi lasciò attonito e senza parole per qualche istante. Con voce quasi tremante e nascondendo il mio stupore, risposi che, effettivamente, mi era andata di lusso ed avevo apprezzato lo spazio extra anche se dentro me stesso cominciava a salire una certa tensione emotiva. L’arresto del treno in stazione troncò la nostra breve chiacchierata. Ancora incredulo presi la mia valigia e finalmente ridiscesi quei gradini che solo poche ore prima avevo salito e che forse mi avevano portato a superare una soglia, quella della follia, che fino ad allora ero stato incapace di superare. A chi avevo detto buongiorno allora? Con chi avevo incrociato lo sguardo? Mentre mi avviavo verso la fine del marciapiede lungo il binario d’arrivo queste due domande scavavano un solco profondo all’interno della mia integrità psichica. Ero sì arrivato a destinazione ma forse avevo perso il lume della ragione, ero andato oltre il cambiamento. Avevo imboccato forse una strada senza ritorno? Quegli occhi, quel silenzio tornavano sempre più frequentemente ad apparirmi davanti e con essi un pensiero insistente: eppure io lo conosco, io so chi è. Se non è stato seduto lì, davanti a me, allora è vissuto per tutto il viaggio nella mia mente. Possibile che la mia voglia di cambiamento abbia prodotto una proiezione di me stesso tanto forte da renderla reale per i miei sensi? E se il mio passato e quella che poteva essere la proiezione di me stesso in un futuro presente erano così diversi e così incapaci di comunicare cosa sarebbe successo adesso? Cosa mi aspettava di lì in avanti? Sarei davvero diventato come il mio surreale compagno di viaggio? La valigia finì nel portabagagli del taxi ed io mi sedetti confuso ed ancora attonito sul sedile posteriore in cerca di risposte. Il tassista mi chiese più volte l’indirizzo di destinazione ed io, al terzo tentativo, in un attimo di lucidità riuscì a darglielo. La paura di rivivere un’altra esperienza surreale mi bloccò completamente il cervello. Arrivati a destinazione pagai il taxi, ripresi la mia valigia e mi guardai intorno. Il rumore del traffico ed il vocio di una città in cui tutti cercano di raggiungere la loro meta sballottava di qua e di là anche ciò che era rimasto dei miei pochi ed insistenti pensieri. Una strana sensazione di freddo mi avvolse insieme a quella domanda che speravo il cambiamento, così fortemente voluto, non avrebbe mai più fatto riemergere dal mio inconscio: vuoi davvero trasformati in quello che non sei? Con quell’interrogativo ancora senza un’apparente risposta che rimbombava nel mio cervello attraversai la strada ed entrai in quel palazzo meta del mio nuovo lavoro. Presi l’ascensore per quello che mi sembrava essere, a quel punto, l’inferno per la mia serenità ed oltrepassai con il coraggio dell’incoscienza quella linea che avevo considerato invalicabile dopo l’esperienza vissuta durante quel viaggio. Il cambiamento, correndo affianco a me silenziosamente lungo quel binario, aveva finalmente vinto la sua battaglia rendendomi consapevole che non sarei stato mai ciò che credevo di aver visto sul quel treno. Ed in quella circostanza, fortunatamente, persi per sempre anche le mie paure, le stesse che, pur di vincere la loro battaglia e trattenermi come loro prigioniero, mi avevano portato, attraverso quel viaggio fisico e dentro me stesso, fino all’orlo della pazzia.

Pietro

 
 
 
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I sogni a volte ci fanno capire molte cose che la realta' ci nasconde profondendoci dosi di normalita' e di abitudine. Eccone uno, "tradotto" per l'occasione in parole, che mi ha dato da pensare e mi ha fatto riflettere molto.  

Buona Lettura.


" E'se fosse vero!!!" - esclamo' con uno sguardo attonito rivogendosi al suo inusuale e muto interlocutore mentre si guardava allo specchio.Purtoppo lo era. La sua immagine non era piu' la stessa, stentava a riconoscere quei tratti nuovi, cosi' profondamente diversi da quello a cui era abituato a vedere. Non piu' quello sguardo sicuro e determinato ma solo due piccole fessure stampate sul suo viso che a stento facevano passare il senso della vita intorno a lui. Le sue mani, un tempo forti e capaci, non riuscivano neppure a girare l'ultima pagina di quel libro che lo aveva condotto in un luogo al confine tra se stesso ed il tempo, tra la voglia di essere qualcuno diverso ed una realta' piena di "perfezione" che non gli dava tregua. Quelle paure che per tutta la vita lo avevano accompagnato, emergendo episodicamente ad ogni bivio importante, erano ormai padrone incontrastate del suo essere. Un gigante di argilla sotto la pioggia che si sgretolava ad ogni goccia tornando ad essere materia informe e non piu' eletta a sfidare il mondo.

 

LA NOSTRA STORIA

La nostra storia

Caducità dell'essere, confine tra sottili speranze ed immensi dolori. Gioie, poche, quelle si. Ma se dell'universo siamo piccoli spilli allora e per una volta sola, pungiamo l'orgoglio del tempo e viviamo. Un attimo, un soffio di vento, un solo battito di ciglia, tutto è solo per noi. Delle piccole cose facciamo tesoro, delle grandi osserviamo l'ombra scorrere sul nostro esile fiore. Lasciamoci andare a piccoli sorsi di felicità: in fondo non abbiamo mai nulla da perdere a riscrivere la storia, la nostra.
 
 
 

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