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Ondivaghi ripensamenti


Quante volte raccontiamo a noi stessi una storia, una storia diversa da quella che stiamo vivendo e che non vogliamo esplicitamente ammettere ci sta stretta e che sembra non rappresentarci più. Un storia a volte lontana chilometri da quello che siamo diventati oggi e che oggi non vorremmo essere ma che i fatti dicono che siamo. Così viviamo paradossalmente due vite: quella reale e quella che vorremmo che fosse. Direte voi: perché vivere ciò che non piace e cambiare assecondando la storia che ci narriamo ogni giorno? Come essere umani siamo un bel groviglio di inesplicabili comportamenti dettati da retaggi, condizionamenti sociali, mindset evolutivi, costante instabilità emotiva: sempre a caccia di un equilibrio precario per fermare lo scorrimento della vita e catturare quei momenti per cui sembrerebbe valere la pena viverla. Ci rifugiamo in un porto tranquillo dove coltivare, famiglia, rapporti sociali, lavoro. Uno specchio d'acqua fermo che non ci sottoponga al rollio delle variazioni ondivaghe dell'oceano che continua a muoversi oltre quelle calme acque. Poi però ascoltiamo il furente infrangersi delle onde contro gli scogli delle nostre sicurezze e vorremmo provare a rischiare di nuovo per vivere l'imprevisto, l'incognito con l'adrenalina che va a braccetto con la paura di non essere più ciò che siamo oggi e che abbiamo conquistato con tante rinunce alle lusinghe del cambiamento. Questo continuo oscillare, scorrere, tra sono e vorrei essere rompe le aspettative fatte di momenti di felicità che raccogliamo durante questo sciabordio emotivo ed ha come risultato quello di avere paura del cambiamento come misura risolutiva lasciandoci attraccati al molo dell'inevitabile invecchiamento emotivo. E più l'età avanza e più è difficile uscire da quel porto riprendendo il mare aperto: fortunati coloro che ci riescono pure sapendo che la tempesta, quella perfetta, è dietro la prossima onda!Pietro