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Post n°377 pubblicato il 27 Novembre 2007 da Infinito130973
JAN OWE WALDNERTECNICA E MORBIDEZZA1989, Dortmund: Waldner vince il primo titolo mondiale Nel '92 è medaglia d'oro alle Olimpiadi. Waldner, quando gioca, sembra che guardi dal finestrino di un treno. Un treno che va verso il mistero. Anche quando si muove, si sposta come sui binari, in orizzontale. Non si riesce a cogliere nessuna espressione. È come se pensasse alla meta o guardasse distratto il panorama da dietro il finestrino. È il giocatore più amato in assoluto. Alto, robusto, biondo che sfuma sul rosso. Come giocaIl gioco è leggero. Il gesto è preciso e sicuro. Rallenta e passa all'improvviso all'attacco. Con il rovescio non è molto aggressivo. E spesso vedi la racchetta a sinistra, sopra il tavolo, che si muove come se dirigesse il traffico. È un po’ come se dicesse: qui c'è il rosso. Però se insisti, ti fa vedere che con il rovescio può fare di tutto. Ma se giochi sul suo diritto non sai cosa ti aspetta. Dal top carico a quello scarico e spinto in avanti, in tutte le direzioni. Ha il migliore servizio d'Europa. Quando serve di diritto, e la palla lascia la racchetta, il corpo fa una rotazione. Fa solo due passi. Il piede destro verso il centro del tavolo, il sinistro dietro; così si trova subito nella posizione base. Quando gioca, si muove in orizzontale, come se nei piedi avesse dei pattini o un tappeto mobile che lo sposta dove va il gioco. Non avverti nessuno sforzo dal suo volto, è come se qualcun altro lavorasse per lui. Questo distacco gli dà un tono, lo eleva dalla fatica proletaria, dal lavoro biblico. Sembra un re, alcuni lo chiamano il maestro. Altri nel suo gioco pensano alla musica di Wagner. Ma queste emozioni, le avverti quando lo sguardo lo sposti sul corpo, sulle gambe, sui piedi. Allora passi dal fascino della notte, dove la luna poco rivela, al giorno dove tutto s'illumina. È come una musica che va direttamente alla testa e poi s'irradia nel corpo. È un'emozione stupefacente che ti meraviglia. Non t'inebria. Waldner ti dà un'emozione lucida senza ubriacarti. Un'emozione che si rivolge prima a lui e dopo al suo gioco. Perché né è lui l'artefice cerebrale. Waldner a SenigalliaL'ho conosciuto personalmente. È venuto a Senigallia nel ‘98 per un incontro della coppa E.T.T.U., l’equivalente della coppa UEFA del calcio. Si sposta solo per incontri d'altissimo livello. Però è voluto venire a Senigallia, sia per l'amicizia con Massimo Costantini sia perché, come ci ha detto in seguito, voleva conoscere l'ambiente. Costantini per venti anni è stato il giocatore italiano meglio impostato e che non doveva mai essere sottovalutato. Un'anomalia per l'Italia. Ha conosciuto e chiacchierato con Sabrina Moretti sull'uso del body, che lui approvava. Gli abbiamo mostrato il tavolo senza righe bianche e dopo averlo provato esattamente per tre scambi, mi ha detto: fra quanto ci si potrà giocare? Ha messo piede a Senigallia con il sorriso sulle labbra, ha sempre scherzato, riso come un bambino irrequieto. Quando si è allenato, con la pallina ha fatto tutto quello che non si fa in gara. È come se il cielo si fosse aperto e il sole avesse subito riscaldato ogni cosa. Poi la gara. Il cielo si è coperto nuovamente. Al termine della manifestazione il sole è tornato nuovamente a splendere. La tecnicaTecnicamente ci ha insegnato anche il gioco passivo. Una specie di difesa fatta con il blocco (muro), quando viene attaccato. Lui va subito vicino al punto in cui andrà a rimbalzare la pallina, poi si ferma e lascia che la pallina rimbalzi. Tocca il tavolo, poi la racchetta, che è ferma. All'ultimo momento può modificare la direzione. Negli anni 30 e fino al '54 si rispondeva di taglio. Dopo il '54 si bloccava spingendo per mettere in difficoltà l'attaccante. Nel gioco passivo, la velocità della palla è rallentata e la parabola si accorcia. Così si toglie l'iniziativa a chi attacca. Iniziativa così cara alla scuola cinese. Waldner è un misto: anticipa come i cinesi, ha la tecnica dei giapponesi e la cultura di gioco europea. Il tutto rivisto e corretto dagli svedesi. Ritorno in SveziaL'ultimo giorno, quando ha lasciato il Centro Olimpico di Senigallia ha dimenticato la racchetta sul tavolo. Noi l'abbiamo riportata in albergo. Quando ha preso l'aereo, la racchetta l'ha lasciata in camera. Noi poi l'abbiamo rispedita in Svezia. Forse voleva lasciarcela come ricordo. Ma una racchetta non ha cuore. Noi preferiamo che ritorni a trovarci, anche senza racchetta. |
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