Tu e il Paradiso

San Serafino di Sarov: uno tra i santi più popolari nella Russia moderna


San Serafino di Sarov, al secolo Prohor Moshnin, nacque il 30 luglio 1759 a Kursk, da una famiglia di mercanti. All’età di dieci anni si ammalò gravemente e durante il periodo di malattia ebbe una visione della Madre di Dio, che gli promise la guarigione. Alcuni giorni dopo, la miracolosa icona della Madre di Dio di Kursk venne portata in processione per le strade della città, ma a causa del maltempo la processione fu accorciata e deviata nei pressi della casa natale di Prohor. La mamma avvicinò il piccolo all’icona e questi guarì in poco tempo.Sin dalla più giovane età, Prohor amava frequentare la Chiesa, ritirarsi in preghiera e leggere le biografie dei santi. Ormai diciottenne, Prohor decise di farsi monaco, sua madre lo benedisse con un crocifisso di rame, che il santo indossò per il resto della vita, ed egli entrò come novizio nel monastero di Sarov. Da subito si distinse per il suo comportamento ascetico. Era infatti solito consumare solamente un unico pasto al giorno e digiunare del tutto mercoledì e venerdì.  Nel 1786, all’età di 27 anni, indosso l’abito monastico assumendo il nome di Serafino. Poco dopo venne ordinato ierodiacono. Era solito trascorrere quasi tutto il suo tempo in chiesa, eccetto brevi periodi di riposo. La sua incessante preghiera e la sua ascesi vennero ricompensate con visioni di creature angeliche. Un anno il Giovedì Santo gli apparve il Cristo in forme umane da schiere di angeli, benedicendo coloro che si trovavano nella chiesa. Serafino, colpita da questa visione, non riuscì a parlare per lungo tempo. Nel 1793 fu ordinato ieromonaco ed in seguito, dopo sedici anni di vita monastica trascorsi a Sarov, iniziò a ritirarsi nel suo eremitaggio, sotto la fitta foresta lontana circa cinque chilometri dal monastero. Qui poté perfezionare la sua anima, purificandosi con le pratiche ascetiche. La Staritsa del monastero di Diveevo, Matrona Plescheeva, testimoniò come il suo aspetto esteriore rispecchiasse la sua santità: “Il suo volto era gioioso e splendente, come quello di un angelo”. Quando si ritirava nella foresta in preghiera, sopportava volentieri i rigori dell'inverno e l'assalto degli insetti in estate, trascorrendo tutto il tempo in preghiera, immerso nella sante letture od impegnato in altre attività gradite a Dio: ogni suo pensiero ed azione erano compiuti nel ricordo del Signore. Per non dimenticare le sofferenze patite da Cristo durante la Passione e per meditare senza sosta gli altri misteri delle Sacre Scritture, portava legato sulla schiena un grosso evangelario. Mangiava un pane che riceveva settimanalmente al monastero e pochi altri vegetali che crescevano nel suo orto. Talvolta, non consumava interamente i pasti, offrendone una parte agli animali selvatici, tra cui un orso, che si presentavano mansueti al'ingresso della sua capanna.Le forze del Nemico non potendo tollerare una tale santità scatenarono una furiosa tempesta di pensieri impuri che Serafino sconfisse passando mille notti e mille giorni in piedi o in ginocchio su di una roccia, ripetendo la preghiera del Pubblicano. Un giorno infatti, mentre raccoglieva la legna, un gruppo di briganti lo assalì. Nonostante Serafino fosse di costituzione robusta ed armato d’ascia, non tentò di difendersi dalle minacce dei malfattori, ma lasciò cadere l’accetta a terra, mise le braccia sul petto in forma di croce e si arrese a loro, che lo percossero a sangue, lo colpirono più volte con bastoni e lo presero a calci, fino a perdere conoscenza. I suoi aggressori smisero di torturarlo solo quando lo pensarono morto. Rimasero però assai delusi quando nella sua cella non trovarono che un’icona della Madre di Dio “Umilenïe” (greco: “Eleousa” o “della tenerezza”), unico “tesoro” dello starets, dinnanzi al quale egli era solito pregare. Quando, dopo qualche tempo, i malfattori furono processati, Serafino invocò per loro clemenza. Le percosse e le ferite lasciarono un segno indelebile sul suo corpo ed egli rimase invalido e claudicante per il resto dei suoi giorni. Non potendo più camminare se non con un appoggio, rese il suo soggiorno nella foresta ancora più solitario; raramente infatti si recava al monastero e se incontrava qualcuno, non gli rivolgeva alcuna parola se non un profondo inchino. La vita del santo fu caratterizzata da un periodo di profonda ascesi, con giorni interi trascorsi in ginocchio in preghiera su una roccia e da notti all’aperto nel bosco. Il santo pregò ininterrottamente per mille giorni e notti con le mani levate al cielo e solo un’apparizione della Madre di Dio, avvenuta verso il termine della sua esistenza terrena, riuscì a convincerlo a dedicarsi alla cura spirituale dei fedeli. Nel 1810, costretto a rientrare in monastero, continuò la sua vita di intimità con il Signore vivendo recluso nella propria cella, ma ben presto migliaia di persone di ogni estrazione e condizione sociale iniziarono a recarsi da Serafino ed egli arricchì le loro esistenze e le loro anime attraverso i suoi tesori spirituali, frutti di una vita intessuta di preghiera e ascesi. Serafino fu da tutti conosciuto quale persona gioviale, serena, sincera, che salutava chiunque esclamando: Mia gioia, Cristo è risorto”, sintetizzano la sua dottrina spirituale di uomo che nella sofferenza, nella solitudine, nella prova del deserto, ha sperimentato la gioia della fede nel Cristo vincitore della morte e di ogni dolore e sofferenza, anch’esse forme di morte. Era solito consigliare: “cerca di avere uno spirito pacifico, e migliaia intorno a te si salveranno!”, e “l’allegria non è un peccato, perché scaccia il tedio, e questo genera depressione e non c’è nulla peggio di questa”.  Chi lo andava a trovare, veniva onorato con un profondo inchino e, benedicendo i suoi figli spirituali, Serafino baciava loro paternamente le mani. Non era necessario raccontargli la propria vita ed i propri problemi, poiché egli aveva il dono di vedere dentro l’animo di ciascuno. Un giorno disse ad un monaco: “Se solo tu sapessi a quale gioia e dolcezza è destinata un’anima in cielo, riusciresti a sopportare ogni tristezza, persecuzione e scherno con gratitudine”. Essendogli stato accordato il dono della profezia, predisse molti avvenimenti storici, tra i quali la guerra di Crimea, la carestia e la rivoluzione che avrebbe sconvolto la Russia e la sua Chiesa nel XX secolo. Operava molte guarigioni e tutti avevano per lui la venerazione tributata ad un santo.Il santo monaco morì presso il monastero di Sarov il 2 gennaio 1833, in seguito all’ennesima apparizione, in cui la Madonna con il Battista ed il Crisostomo gli preannunciò la nascita al Cielo. Il 19 luglio nel 1903 Serafino di Sarov fu canonizzato dalla Chiesa Ortodossa Russa, alla presenza della famiglia imperiale Romanov, capeggiata dallo zar Nicola II. Questo santo compare nel grande mosaico-icona della cappella Redemptoris Mater fatta realizzare in Vaticano da papa Giovanni Paolo II, essendo stato ritenuto degno insieme a San Sergio di Radonez e Santa Elisabetta Fedorovna di rappresentare la spiritualità ortodossa russa e di venerazione anche da parte cattolica.L’opera “Colloquio con Motovilov” riportante le memorie della conversazione tra un suo figlio spirituale e Serafino su temi di vita cristiana ci ha tramandato per iscritto qualche pillola della sua spiritualità. Ecco qui il dialogo:"Amico mio, in questo momento siamo entrambi nello Spirito di Dio… perché non mi guardi? - Non riesco a guardarvi, Padre – risposi – i vostri occhi brillano come un lampo; il vostro volto si è fatto più abbagliante del sole, e gli occhi mi fanno male quando vi guardo. - Non temere – mi disse – in questo stesso momento sei divenuto luminoso come me. Anche tu sei presente nella pienezza dello Spirito di Dio; altrimenti, non avresti potuto vedermi come mi vedi. Poi piegò il capo su di me e mi sussurrò: - Benedici Dio per l’infinita bontà che ha per noi. Io ho chiesto a Dio nel mio cuore: ‘Signore, rendilo degno di vedere con i suoi occhi fisici la discesa del tuo Santo Spirito, che tu concedi ai tuo servi, quando ti degni di apparire nel meraviglioso fulgore della tua gloria’. Il Signore ha esaudito istantaneamente questa umile richiesta del miserabile Serafino… Quanto grati dovremmo essere per questo indicibile dono che ci è stato accordato a entrambi. Persino i Padri del deserto non ebbero sempre simili manifestazioni della Sua bontà. La Grazia di Dio – come una madre piena di dolce amore verso i suoi figli – si è degnata di confortare il tuo cuore afflitto, per intercessione della Madre di Dio… perché, dunque, amico mio, non mi guardi dritto in volto? Guarda pure senza timore. Il Signore è con noi. Incoraggiato da queste parole, lo guardai e fui preso da un sacro timore. Immaginate, nel bel mezzo del sole, abbagliante nella luminosità dei suoi raggi a mezzogiorno, il volto dell’uomo che vi parla. Potete seguirne i movimenti delle labbra, l’espressione cangiante degli occhi, ne potete udire la voce, sentirne le mani toccarvi le spalle. Ma non potete vederne né le mani né il corpo – nulla eccetto un incendio di luce che brilla, illuminando il tappeto di neve d’intorno che copre la radura, i fiocchi di neve che scendono su di me e l’anziano monaco… - Cosa provi ora? – mi domandò padre Serafino. - Provo un indicibile benessere – risposi. - Cosa intendi per benessere? Cosa provi esattamente? Risposi: – Provo un tale silenzio e una tale pace nel cuore che non so esprimere a parole. - Amico mio, questa è la pace di cui il Signore parlò ai suoi discepoli: “Vi do la mia pace”. E’ la pace che il mondo non può donare. ‘La pace che oltrepassa ogni comprensione’ [...]. Cos’altro provi? - Incredibile dolcezza – risposi Ed egli riprese: – Questa è la dolcezza che è descritta nelle Sacre Scritture. Questa dolcezza colma i nostri cuori e si propaga nelle nostre vene con indicibile beatitudine. Una dolcezza capace di far sciogliere i nostri cuori. Siamo entrambi a provare questa beatitudine ora. Cos’altro provi? - Indicibile beatitudine nel cuore. Padre Serafino continuò: - Quando lo Spirito Santo discende nell’uomo e lo benedice con la sua venuta, ne colma il cuore di indicibile beatitudine, perché lo Spirito Santo colma ogni cosa di beatitudine. Questa è la beatitudine preparata per quelli che Lo amano. E se ora che ne abbiamo solo un assaggio ci dona così tanta dolcezza e gioia, cosa diremo della gioia preparata per noi nei cieli? Amico mio, tu hai pianto tanto sulla terra, e guarda con quale gioia il Signore ti consola. Per ora dobbiamo lavorare e compiere continui sforzi volti a ottenere sempre più forza per raggiungere “la perfetta misura della statura di Cristo”. Poi questa gioia transitoria e parziale che ora proviamo sarà rivelata in tutta la sua pienezza, sommergendo il nostro essere in inesprimibili piaceri che nessuno potrà mai toglierci.  Cosa provi ancora, amico mio?Dissi: - Indicibile calore. - Di che calore parli? Siamo in una foresta. E’ pieno inverno, e ovunque tu posi il tuo sguardo c’è neve. La neve fiocca persino sui nostri corpi. Di che calore può trattarsi? Risposi: - E’ simile al calore che si può provare alle terme quando si è immersi in un piacevole vapore. - E l’odore – mi domandò – è lo stesso di quello delle terme? - Oh no – risposi – non c’è nulla sulla terra simile a quest’odore. Allora padre Serafino disse con un sorriso: - Conosco quell’odore, proprio come te. Per questo ti ho chiesto se lo percepivi. E’ veramente una indicibile verità, amico mio. Nessun odore terreno, per quanto piacevole possa essere, può essere paragonato alla fragranza, che ora noi due sentiamo, perché ora siamo circondati dalla fragranza dello Spirito Santo. Cosa c’è di terreno simile ad essa? Tu mi dici che diffonde un calore tutt’intorno simile a quello delle terme, ma guarda: la neve non si scioglie né su di me né su di te. Significa che il calore è dentro di noi e non nell’aria. Questo è il calore per il quale lo Spirito Santo ci fa gridare al Signore: “Riscaldami con l’amore dello Spirito Santo!” [...] Il Regno di Dio è dentro di te ora, e la Grazia dello Spirito Santo illumina e riscalda dal di dentro e colma l’aria d’intorno con varie fragranze, delizia i nostri sensi spirituali con la beatitudine divina e colma i nostri cuori di un’ineffabile gioia.