Tu e il Paradiso

" I miei ricordi migliori sono una croce " e Gabriele D'Annunzio


  "I miei ricordi migliori sono una croce""Il mio desiderio di lasciare il mondo e di entrare nel Carmelo è ogni giorno più vivo, e benché io mi trovi in uno stato di aridità che oso qualificare terribile, non ho mai desiderato come adesso una vita di espiazione e d'amore".( alcune citazioni di Alessandra di Rudinì ) Alessandra di Rudinì nasce  il 5 ottobre 1876 a Napoli, da Antonio Starabba, marchese Di Rudinì, di Palermo, ma d’ascendenza spagnola, che divenne,successivamente, capo del governo italiano e Maria de Barral, contessa francese, di origine greca, donna dolcissima con una vita infelice.Alessandra di Rudinì fu una donna bellissima e molto colta. Ammirata da tutti, era l’attrazione dei salotti dell’epoca. Visse inizialmente immersa nella vita mondana e decadente dell’alta aristocrazia italiana ed europea. Fu anche per tre anni l’amante di Gabriele D’Annunzio, che per lei lasciò Eleonora Duse. Ma Nike,soprannome che le è stato dato per il suo corpo statuario,  malgrado le apparenti gioie, le gratificazioni di sentirsi ammirata e al centro dell’attenzione di tutti, avvertiva in se stessa un profondo vuoto.Vuoto che presto venne ricolmato, attraverso un miracolo, il tramite fu Maria Santissima. Infatti Alessandra aveva fatto esperienza del fallimento della sua maternità. Aveva avuto due figli, che, rimasta vedova e per convivere con D’Annunzio, aveva affidati ad un Collegio di Gesuiti, ma in verità li aveva abbandonati a se stessi: morirono giovani. Quindi solo, attraverso Maria conobbe l’infinita Misericordia di Dio e la speranza di recuperare la propria vita trasformando gli errori commessi nelle virtù eccelse della dedizione a Dio e ai fratelli.A Lourdes fu testimone di un miracolo: una signora francese, completamente cieca, invocò la Madonna e guarì sotto i suoi occhi. E il celebre dottor Boissaire, il medico presidente dell’Ufficio che constatava i miracoli, le documentò, con prove ineccepibili, la straordinarietà di quello ch’era avvenuto sotto i suoi occhi.Ritornata da Lourdes nella sua villa sul Garda, prese a vivere come una carmelitana nel mondo: lunghe ore in preghiera davanti al Tabernacolo, ogni giorno il Rosario intero alla Madonna e la recita del Breviario come i sacerdoti. La meditazione delle opere di Santa Teresa e di San Giovanni della Croce. Decise: «Sarò carmelitana per sempre, per amare solo Cristo, per riparare, per intercedere per la Chiesa e per le anime».Nell’ottobre 1911 a 35 anni, la marchesa Alessandra Starabba Di Rudinì, nel Carmelo di Paray-le-Monial, in Francia, diventò suor Maria di Gesù. Era il terzo velo che scendeva sulla sua fronte, dopo quello della sua prima Comunione e quello di sposa di un uomo: il velo, ora, della sposa di Cristo.Dal suo Cahier vert, sappiamo che tra il 1912 e il ’13 passò attraverso prove interiori durissime. Tra il 1916 e il ’17 le morirono i due figli di tubercolosi, come il padre. «Non ho più su questa terra, alcun legame, nessun amore, nessuna tenerezza: l’unica ricchezza, l’unico amore che ho è la Croce di Cristo».Nella preghiera continua, sotto la guida della sua Priora e di santi sacerdoti, diventò una carmelitana matura, dotata di singolari doni. La priora la volle maestra delle novizie, poi, fu eletta priora a Paray: una priora buona, materna, esigente, ma ricca di forte comprensione delle anime, capace di guidare a Gesù, all’unione totale con Lui.Con l’eredità dei suoi genitori, con i suoi beni personali volle fondare tre nuovi monasteri. Valennienne fu la prima di queste fondazioni che le costò otto anni di fatiche. Il secondo fu il Carmelo di Montmartre, voluto e benedetto dallo stesso cardinal Amette, Arcivescovo di Parigi. Seguì la fondazione del Carmelo del Reposoir in Alta Savoia.Nel cuore di suor Maria di Gesù, non c’era ormai che un grande amore che la divorava come il fuoco: l’amore per Gesù. Ella, che era stata letteralmente travolta da questo amore, dichiarava che «la vita religiosa al Carmelo doveva essere vita di amore senza confini e non solo osservanza formale delle regole». «Consacrarsi a Lui è amare Lui e, in Lui, la Chiesa e tutte le anime, e sperimentare che Lui ci ama alla follia».Nel 1930, in autunno, sfinita dal lavoro e dalla dedizione a Dio, si recò al suo Reposoir: le sue condizioni di salute erano ormai disastrose. Venne ancora il dolore atroce a perfezionarla in un olocausto simile a quello di Gesù sulla croce.Nella notte tra il 1° e il 2 gennaio 1931, sentì che Gesù la chiamava per nome. Avvolta di pace e di gioia, ricevuti i Sacramenti, disse piano piano: «Nelle tue mani, Signore, consegno il mio spirito». Aveva 56 anni.