UN TEMPO NEL MEZZO

Post N° 6


Caccia ai pedofili: per gli agenti infiltrati ci vuole lo psicologodi Carlo Ciavoni ROMA. Gianni De Gennaro, capo della Polizia, alla presentazione del nuovo «gioiello» della Microsoft che intercetta i siti pedopornografici, ha
rivolto parole solidali agli agenti della «Postale».Frasi affettuose per chi, fingendosi pedofilo va a caccia di pedofili veri ed è costretto ogni giorno a guardare filmati e immagini di violenze inenarrabili sui bambini (neonati inclusi). E che per sostenere stress emotivi pesantissimi viene aiutato da psicologi.Uno degli agenti che si infiltrano nei siti dei pedofili apre la porta della sua «tana» al terzo piano di un edificio, vetri e cemento, di fronte agli studi di Cinecittà, a Roma.Qui c’è anche la sede dell’Uaci (Unità analisi crimine informatico) diretta da Maurizio Mascipinto, un centro che coordina 19 compartimenti regionali.Ecco dunque l’agente scelto Gianluca Tamasia, 32 anni, in Polizia da sei, a due esami dalla laurea in informatica, padre di un bimbo di 4 mesi. «Ho iniziato a Firenze. Avevo alle spalle solo normale servizio in strada. Dopo il corso di specializzazione, m’è invece apparso il mondo senza confini delle chat e di internet. Criminali di ogni latitudine hanno cominciato a sfilarmi sotto gli occhi, in forma di numeri e codici. Poi, ho aperto i primi computer in casa di quelle persone… Ho visto di tutto: cose che fanno male al cuore e ti strizzano l’anima. Ho imparato a fingere, a usare i loro linguaggi, a imbrogliarli. Spesso anche a fregarli».Come ci si infiltra?«In due modi. Ci si può fingere predatori, o prede, pedofili o bambini e sono stress diversi. Si va a caccia nei siti dove si scambiano file, oppure si prova a entrare nelle chat room fingendo, magari di essere bimbe di 11 anni. Da finti pedofili «stuzzichiamo» l’ambiente con immagini osé, di adulti però…».Non di bambini?«No, diventeremmo dei provocatori. E questo non ci piace. Ci limitiamo, diciamo così, a immagini di scene pornografiche tra adulti. Poi, con pazienza (e fortuna), si tenta di entrare in confidenza con chi è dall’altra parte. E a volte ci tornano indietro filmati di bambini ripresi in pratiche sessuali. E lì comincia il lavoro di risalita per individuare il computer del pedofilo».Se la sente di ricordare qualche indagine?«Mi fa male. Quando sono davanti al computer resisto perché prevale la voglia di catturare quei criminali. Posso solo raccontare di quella volta che una mamma, scoperte le immagini della figlia dodicenne semivestita sul cellulare della bambina, ci ha permesso di scoprire una rete di pedofili che prometteva ricariche dei telefonini, in cambio di foto di ragazzine nude di 9-10 anni, inviate con un Sms. Altri episodi li lascio immaginare. Basti pensare che periodicamente chiediamo appoggio allo psicologo. Ci fa parlare e ci aiuta a sopportare certi orrori. Ci attacchiamo all’idea che, comunque, il fine è salvare bambini innocenti».Cosa la colpisce di più oltre, ovvio, alle immagini?«Il fatto che alla fine ti abitui e hai così la misura di quanto questo lavoro ti ferisca nell’intimo».Parlate di questo con gli psicologi?«Sì, ma non solo. Vede, noi viviamo in un paradosso. La Polizia, fino a venti, trent’anni fa non doveva combattere fenomeni così globali e sofisticati. Chi ci ha preceduto su questo fronte era meno preparato di noi. Diciamolo: era più ignorante. Regnava un “sano”, istintivo odio verso la pedofilia, l’odio dei normali per i mostri. Il paradosso sta nel fatto che oggi l’essere più preparati, colti e attrezzati a comprendere le complesse sfaccettature dell’animo umano, ci porta a operare con maggiore distacco verso certi comportamenti. Nello stesso tempo, il pedofilo resta un essere intimamente insopportabile, odioso per ognuno di noi. Ecco: forse lo stress sta proprio in questo sforzo quotidiano cui ci si sottopone, tra due tensioni opposte. Da una parte il “bravo-poliziotto” distaccato, competente capace di capire il disagio umano; dall’altra la rabbia che si sedimenta nell’animo verso gente che invece vorresti ammazzare con le tue mani ».