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Post n°112 pubblicato il 12 Agosto 2018 da fasanobi
 

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Molti anni fa una ragazzina di circa undici anni frequentava una scuola d’arte. Non l’aveva scelta: lei voleva “fare il classico”, ma siccome da piccola era stata molto ammalata, il padre, uomo di giudizio, aveva deciso le toccasse una scuola “meno pesante” e quindi l’istituto d’arte rispondeva al requisito. Più tardi, divenuta brava “anche” nella pittura, i suoi allievi sosterranno che “ci fosse portata”; difatti ad esserci portata (quasi di forza) lo era stata, ma, visto che proveniva da parte di madre da una famiglia di artisti, le risultò comunque facile “divenirlo”. Intanto leggeva. Leggeva. Leggeva. D’annunzio a dodici anni e Pirandello, Dostoevskij, Shakespeare, tanto da poter sostenere un giorno di “scrivere ad orecchio”. La sua insegnante di lettere si chiamava Adele Cilibrizzi. Era piccolina, grassottella, coi capelli neri legati a chignon, molto dolce e sorridente. Lei l’adorava. Quando l’insegnante leggeva passi delle poesie, semplicemente s’incantava ad ascoltare la sua voce fluida ed elegante che toccava ogni parola come fosse un oggetto prezioso da restituire all’allievo:

- “Scelgo questo, scelgo quello, mi diletto d’ogni fior; questo par di quel più bello, quel di questi ha meglio odor.”-

Ancora oggi le sembra di poter riascoltare con l’udito della memoria la voce della “sua professoressa”, colei che la capiva, che sapeva il suo interesse per la letteratura e le proponeva temi particolari, come quello:

-“Questa sera ho parlato con la luna”-

Allo scopo di scoprire in che modo quella bimba simpatica li avrebbe realizzati. Poi, un giorno, le passò la mano sui capelli e le chiese:

- “Cosa vuoi fare da grande?”- e la piccola rispose:- “La scrittrice”- (...)


 

 

 

 
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