L'uomo senza qualità

Attesa


 
  Che quest'anno muore lo capisco dal sangue, dal lento passaggio dei globuli rossi, dal flusso ostinato ed immenso di questo fiume insensibile alle sue sponde, alla luce sempre più breve ed esitante dei tramonti.Le dieci di sera sono un orario impreciso. Ho il dovere di alzarmi e cercare qualcosa da fare. La cena è già stata consumata, il dolce non ce l'ho, il caffè qui è blando, come i sorrisi di questa gente.Telefono a qualcuno. La decisione è presa. Alzo la cornetta e la vorrei vedere colorata, lei se ne sta in un anonimo bianco. E poi che numero? Quale codice di cifre? Per arrivare a quale volto? Cose da dire. Chiudo gli occhi a pensare. A pensare che giorno ho vissuto. L'aggettivo è anonimo. Altri strascichi grammaticali non me ne vengono. Non un punto esclamativo, no. Punto. E se bevessi un tè? Ma no, che fa troppo anglosassone. Punto esclamativo.Avrei voglia di raccontare una sola cosa. Piccola e labile, così forse la dico a me solo. Ricevitore e ricevente. Questa mattina ho avuto la sensazione struggente di un'attesa. Un'attesa che doveva venire ma non è venuta. Pazienza. Ci sarà se la vorrò forte, nel futuro. E' da ieri che la provo. Sì, da ieri, se proprio devo dire la verità. Tornavo dal lago. Scendevo dall'auto. La strada era quiete e prospettive lontane. Era il tramonto, anche gli alberi avevano quella luce raggiante, epifanica, che hanno prima di scolorare e morire nel buio invadente. Ero solo. Avevo una grande borsa a ingombrarmi le mani.Davanti a quel paesaggio, all'insieme del verde del parco e del ritmo concentrico dei miei respiri, ho capito che qualcuno sarebbe stato lì in attesa. Di me. A prendermi la borsa ingombrante, a darmi l'abbraccio del ritorno, a camminare con me per la via. E poi dove? A casa.A casa. La prigione.Se suona il telefono forse non rispondo neppure. Ho voglia di pensare ancora. C'è un silenzio astratto. Quasi non mi dispiace più neanche per il dolce.E oggi ancora. Oggi ancora quella sensazione. Forse più forte, più serrata. Ero in piazza, ed era sempre tardo pomeriggio. Camminavo verso i giardini. La via era particolarmente carina, con un negozio di frutta, e io li adoro i negozi di frutta. Hanno la frutta tutta fuori e tutta colorata, anche d'inverno. Punto esclamativo.Davanti a me c'erano i grandi alberi del parco. Platani, forse, non saprei. Erano bagnati dal sole, freddo ma brillante, e il cielo in lontananza era un po' scuro, ma di poco. Per uscir fuori dalla via c'era una volta straordinaria. Medievale, color terra. Avrei voluto fotgrafare.Così ho pianto. Ecco, camminavo e avevo gli occhi lucidi. Le lacrime non cadevano ma erano lì lo stesso. Qualcuno mi guardava, dovevo avere l'aria afflitta. Però altera. Avevo un certo orgoglio fra le dita e forse il senso di una sofferenza atipica. Regale. Mi struggevo.Io lo sento che il tempo di quest'anno muore. Mi muovo ma è come se restassi fermo. Apro gli occhi?Ma sì, li apro.Buon Anno.