L'uomo senza qualità

Tempus fugit


 
 Dopo tutto quell'aspettare e aspettare, fantasticare ed essere ansiosi come d'un evento essenziale (importante e per certi versi ormai inesorabile), ecco l’oggetto della sua, della loro attesa che da dietro la curva rompe l'ansia e insieme la precipita, l'addensa. Possibile che tutte quelle dure ore fermo lungo una strada valgano la fulmineità quasi scialba di quella apparizione, e per di più imprevista, talmente attesa e insieme improvvisa da essere persino inattesa in quel modo, in quel momento? Tutto qui, tutto già finito? Tutto risolto in quella scia di cometa dietro all’istante , sua essenza polverosa ormai invisibile? Così avviene passino splendenti cose nell'alone loro, mentre per anni e lustri si resti a rimirarne, a ricordarne il fuggevole effetto, il seguito sciamante. E della cosa non rimane, infine, che (sua fine) la coda più che la testa. E dunque niente. Un'impressione, un barlume, un'idea. Non il fatto più, solo un'idea. È allo stesso modo che oggi il suo oggetto le è apparso (e scomparso): dopo una curva nella lieve campagna prima della città: fugace, troppo fugace per tanto spasimo; troppo fuggente e imprendibile dopo tanta febbre. Tutta qui la cerca? (Tutta qui la vita?). In questo lampo che quasi la retina neanche riesce a registrare, a fissare? In questo polverio d'indistinti segni, colori? Quello che segue (altre persone, suoni e rumori, luci e voci), anche se all'infinito sfilasse davanti a loro, non riuscirebbe a colmare la delusione per quella imprevedibile velocità nella quale s'è come bruciata, spenta tutta quanta la tensione, l'attesa.  
 Lui lo ricorderà per sempre, quel lampo. E saprà (ormai per sempre) che non ci sarà da aspettare nient'altro, in un evento, che l'attimo precedente e la durata seguente, il prima e il poi. L'evento non è che ciò che precede (estenuante) e ciò che segue (inutile). Tanto valgono l'aspettazione e la vista: ancora a immaginare, più che a vedere; a costruirselo come si vuole un evento (un’emozione), tanto essi poco esistono, tanto sono fugaci. Così meglio vale allenare lo sguardo a immaginarsele, le stelle mobili e fisse della propria vita. Vale meglio immaginare. E nutrire ben altro che la smania della presenza, della realtà, la smania del testimone (che crea il protagonista, il divo, il campione). Oppure sì: testimoniare (alto e forte) per una irrealtà, per un sogno, per ciò che scaturisce da un'immagine. Questo vale. Ma questo lei lo capirà solo dopo, solo a distanza, non da sua donna. E a proposito di se stessa. Sempre a proposito di sé, dei propri errori, devianze, magari dei tentativi (impossibili) di spiegarsi agli altri, di testimoniarsi. Ché non esiste testimonianza se non della effettuale storia. Della storia invisibile (propria, che non si vede) non esiste possibile testimonianza. Anche se ormai lei sa che solo la storia irreale interna può essere davvero testimoniata e che la storia dei fatti, lui, non che è un lampo, un inganno.III- fineSiena, settembre 2013