L'uomo senza qualità

Messaggio in una bottiglia


  
 Mi sono convinto che esistono due modi di scrivere.   Un modo è costruire, architettare, programmare, fare calcoli nella propria testa, tessere trame e loro varianti verosimili. Si tratta di spostare luoghi e persone pesanti come macigni. Scrivendo così ci si sente forti, stanchi, prepotenti, pazienti, autoritari, aggressivi, virili. Ci si sente a pezzi come se si fosse fatto un trasloco. Nella testa, le faticose costruzioni hanno una consistenza ferrea e pungente. Si sente la testa piena di chiodi e di spilli e gli occhi di sabbia. L'altro modo è non costruire nulla, non architettare nulla e restare se stessi. Chi scrive non si sente forte ma debole, languido e molle. Spera che la poesia e la vita fluiscano dal suo languore. La sera non si sente stanco, ma nervoso. Non ci si sente né pazienti né prepotenti ma attoniti e stupefatti. Non si sente la forza nemmeno di strappare un filo d'erba. Si ha solo voglia di starsene spalmati a terra a piangere. Quando si decide di scrivere è bene sapere che si dovrà scegliere fra l'ordine e il disordine. Oggi noi di solito scegliamo il disordine. L'impulso a costruire ed architettare in ordine e in armonia con noi stessi e con gli altri sembra scomparso dal mondo. Dal mio lo è senz’altro. Ho perso le forze e ora mi sento travolto e impotente. Non fosse troppo melodrammatico direi infelice. Inganno me stesso dicendomi di essere una vittima, e le vittime non costruiscono.  I libri che oggi scrivo, sempre o quasi sempre, sono scritti nel disordine e in un lungo, segreto e silenzioso sfogo di lacrime. E fitte allo stomaco.  Chi mi circonda e mi vuolebene, a volte, fingendo di non vedere le mie lacrime, afferra del mondo circostante qualche lembo reale, e me lo mostra per ricordarmi che io appartengo anche a loro.   Quanto assente sono nella vita, tanto incapace sono diventato a scrivere nel primo modo. L'idea di costruire mi è ormai totalmente estranea. Lo capisco dal fatto di non riuscire più a scrivere in terza persona. Quando scrivo «io», in realtà non faccio che rovesciare le mie confessioni in un lungo, penoso per me e per chi mi legge,soliloquio.  Le mie storie non sono destinate a nessuno. Scrivo come uno che getta un messaggio in mare in una bottiglia. Se ne avessi la forza ammetterei che tutto viene dall'ossessione per l'amore. Ed è universalmente riconosciuto che nessuno quanto una persona in preda a un'ossessione sia meno in grado di dare parole e immagini alle vicende nelle quali si dibatte il suo pensiero.  L'ossessione per l'amore non ha parole ma solo gemiti inarticolati. Gli occhi troppo annebbiati dalle lacrime non vedono il mondo. Vi gettano solo uno sguardo allucinato e distratto. Così io oggi vedo. La poesia invece, la poesia è tutt’altra storia. Non è mai né distratta, né allucinata, né annebbiata, e anzi si sbarazza delle ossessioni trasformandole in qualcosa di totalmente umano. E rispettabile. Annientando ogni pudore libera le emozioni dalle catene che le imprigionano a terra, e le rende sopportabili. Sì, la poesia è un'altra vita. Milano, 28 ottobre 2013