Creato da uomosenzaqualita il 04/11/2012

L'uomo senza qualità

Un comune caso di personalità multipla

 

« PhotosDel perché e del no »

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Post n°40 pubblicato il 04 Dicembre 2013 da uomosenzaqualita

 

 

 

Immagino ci siano dentro di me tante cose da scrivere. Perché no? Cosa me lo impedisce? L'esiguità del tema, forse, può consumarsi in una sola riga, una sola parola addirittura. Certe volte ho l'orrore di toccare una sola parola e che da essa se ne scatenino migliaia di altre, queste non desiderate. Comunque, l'impulso di scrivere, l'impulso puro-così, anche senza tema, senza grammatica né sintassi. Come se io avessi la tela, i pennelli, i colori e mi mancasse il grido di liberazione oppure la mutezza essenziale che è necessaria per poter dire certe cose. Delle volte, la mia mutezza fa in modo che io cerchi persone e che loro, senza saperlo, mi diano la parola chiave. Però chi? Chi mi obbliga a scrivere? Il mistero è proprio questo: nessuno, nonostante la forza che mi spinge.

Ho già voluto scrivere su ciò che si sarebbe esaurito in una riga. Per esempio: sull'esperienza di essere disorganizzati e subito avere la febbre dell'organizzazione che mi prende come quella di un'antica formica. Come se il mio inconscio collettivo fosse quello di una formica.

Ho voluto anche scrivere — sarebbero state due o tre righe — su quando un dolore fisico se ne va. Di come, con il corpo ringraziato, ancora oscillante, vedi fino a che punto l'anima sia anche corpo. E' come se io scrivessi un libro sulla sensazione che ho avuto una volta, quando per un’influenza sono dovuto restare a casa parecchi giorni e quando sono uscito, ancora debole, per la prima volta in strada, c'era il sole caldo, gente in giro. E mi è arrivata un'esclamazione fra l'infantile e l'adulto: ah! come sono belli gli altri! E' che io venivo dal mio buio verso il chiaro che avevo scoperto anche mio, è che io venivo da una solitudine di persone verso l'essere umano che muoveva le gambe e le braccia e aveva espressioni nel viso.

Poi sarebbe inesauribile scrivere sul non saper bere. Bevo troppo e troppo alla svelta io, e non ci sono alternative: o, praticamente, mi addormento dentro di me e sto li apatico, a pensare le mie cose, senza però che il pensiero si chiarisca e faccia scoperte, oppure divento eccitato a raccontare sciocchezze di un brillio momentaneo. Però c'è un istante minimo di questa situazione nel quale semplicemente so come è la vita, come sono io, come sono gli altri, e come dovrebbe essere l'arte, come l'astrattismo che per quanto sia astratto non è mai astratto. Solo che istanti come questi non valgono la pena, perché mi dimentico di tutto quasi subito, E' come se il patto con Dio fosse questo: vedere e dimenticare, per non essere fulminato dalla conoscenza.

Altre volte, per assurdo che sia, trovo lecito scrivere così: non si è mai inventato niente di là dal morire. Aggiungo, ancora, che dev'essere un godimento naturale il morire, perché è parte essenziale della natura umana animale vegetale, e anche le cose muoiono. E' come se avessi un legame con questa scoperta, e arriva l'altra, ovvia, spaventosa: non si è mai inventato un modo diverso di amore fisico che non sia estraneo e cieco. Ognuno va secondo natura verso la reinvenzione della coppia che è assolutamente originale quando si ama. E un'altra volta il discorso è morire. Viene l'idea che dopo la morte non si va in nessun paradiso, il paradiso è morire.

La verità è che mi è semplicemente mancato il dono per la mia vera vocazione: disegnare. Ho sublimato con la fotografia, e il risultato è un surrogato. Perché io potrei, senza nessuno scopo, disegnare e dipingere un insieme di formiche, che si muovono o che stanno ferme — e sentirmi completamente realizzato in questo lavoro. Oppure disegnerei tante di quelle righe che s'incrociano le une con le altre e mi sentirei tutto concreto in queste righe che gli altri chiamerebbero astratte. lo potrei anche scrivere un vero trattato sul mangiare, perché a me piace mangiare, e si vede. Sono un pingue eterno aspirane artista. Terminerebbe come un trattato sulla sensualità, non proprio quella del sesso, però la sensualità dell’entrare in contatto intimo con ciò che esiste, perché mangiare è uno dei mezzi possibili — ed è il mezzo che impegna in qualche modo tutto l'essere.

Scriverei anche di quando rido sull'assurdo della mia condizione. Far vedere nel medesimo tempo come è degna (usare la parola degna mi fa ridere di nuovo).

Parlerei dei fiori e dei frutti. Però come se le fotografassi con le parole. Scrivere, anzi, non è quasi sempre fotografare con le parole?

Ah! Cazzo!, sono pieno di temi che non affronterò mai. Intanto, vivo e sopravvivo di loro. Quando lei mi risponderà, beh vedremo.

 

Casa, una lunga telefonata, tra il quinto e sesto Calvadòs.

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