diamante tra le mani

Sic volvere Parcas.


Già quella mattina, quando la tua chiamata mi aveva svegliata di soprassalto alle 8:30 per farmi gli auguri, non ero riuscita a spiegarmi come l’avessi capito. Non mi sembrava di aver tradito nulla con le mie parole, eppure avevi centrato in pieno la novità.Ora, appena tornata da questa piacevole serata insieme, ho realizzato che in realtà non ne sono affatto sorpresa: tu sei Atropo, c’è poco da fare. Ci conosciamo da 12 anni, e parlare con te è come affacciarmi a uno specchio in grado di mostrarmi tutto quello che nemmeno io avevo ancora notato. Mi conosci troppo bene.Quanta strada da quei banchi del liceo, quanto filo è stato svolto… gli infiniti gradini col frighetto a spalle, la doccia alle due del mattino, la nonna Cocò, l’Isola del Giglio, il Gabriel Furioso, il romanzo, le prove a Monza, la famiglia Cannavaro, le vacanze nel Cilento, il cuore sulla sabbia, i fotomontaggi, i capodanni, la gita a Parigi… e mille e mille progetti, tanti stami tagliati, tanti filati ex novo. Noi c’eravamo… e ci siamo ancora. Una fortuna inestimabile.
E in tutta la sera, non una parola su quel filo che invece si è spezzato. Chissà se ha senso parlare di Parche se non siamo più in tre. C’è chi fila e chi taglia: manca Lachesi. Evidentemente la durata l’aveva stabilita già da un po’, tant’è che non sono sorpresa… Eppure, a fine maggio farò lo stesso quella telefonata. Dopotutto, io sono Cloto.