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In una fattoria
Post n°2053 pubblicato il 26 Febbraio 2017 da namy0000
“Poco dopo l’uccisione dei tre giovani israeliani, sono andata, circa un mese, in Palestina, per un progetto di volontariato. Ho lavorato in una fattoria sulla collina di Nahalin, un paesino a sud di Betlemme interamente circondato da insediamenti israeliani. Durante la mia permanenza, i coloni ci hanno più volte attaccato, distruggendo circa 900 alberi di fico, meli e peri, i cui frutti erano quasi pronti per la raccolta, togliendo l’acqua e l’energia alla fattoria e bloccando perfino l’unica strada (di proprietà palestinese) che conduce a Betlemme, per affidarla poi al controllo di due giovani armati. Tutti questi fatti mi hanno portata a chiedermi se questo non sia un altro modo di uccidere lentamente un popolo che da anni cammina a testa bassa sperando in un futuro diverso che chissà quando verrà. Mi sono chiesta come si possa vivere con la costante presenza dei razzi, delle bombe, delle sirene che la notte svegliano e terrorizzano le famiglie. Mi sono chiesta perché dopo poche settimane fosse diventato normale anche per me la sera “godermi” lo spettacolo dei fuochi d’artificio – purtroppo sono razzi – lanciati l’uno contro l’altro, per poi leggere, il mattino dopo, il numero dei feriti o dei morti. Ho trovato poche risposte. Ma forse è proprio attraverso questa esperienza che ho conosciuto la forza e la speranza di tanti palestinesi, quella macchia di colore che si fa coraggio nel nero della guerra. Elena G.” (Lettera pubblicata, Internazionale n. 1061, 25 luglio 2014). |
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