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Cherofobia

Post n°2796 pubblicato il 23 Settembre 2018 da namy0000
 

“PERCHÉ I NOSTRI RAGAZZI HANNO PAURA DI ESSERE FELICI?

‹‹Come te la spiego la paura di essere felici quando non l’hanno capita nemmeno i miei amici?››. In questa domanda è forse racchiuso l’universo di senso di una generazione, quella dei più giovani. Si tratta dell’incipit di Cherofobia, la canzone di Martina Attili, cantautrice sedicenne esplosa con il suo talento tanto grezzo quanto cristallino durante le audizioni di X Factor. La sua ballata è un pugno in faccia, un meticciato in note di sensazioni, di raschi alla pancia, di solitudini adolescenziali. Un apparente inno alla “non vita” che celebra quell’avversione alla felicità (la cherofobia appunto), seme e frutto di quel nichilismo che certi soloni dell’intellettualismo contemporaneo affibbiano con prudenza irresponsabile alla gioventù.

Martina decide di cantare l’universo di cui fa parte liberandosi dal cliché di cuore e batticuore, per entrare a gamba tesa ‹‹tra i muri di una cameretta in cui ha iniziato a stare stretta››. La camera è il traslato di un mondo personale, è esperienza simbolica di una vita introflessa come quella degli hikikomori, individui tra mito e realtà (soprattutto adolescenti) che scelgono di escludersi da qualsiasi tipo di vita sociale, rinchiudendosi in uno stato di completo isolamento dal mondo esterno. Eppure la giovanissima aspirante pop star decide di abbattere quelle mura, aprendosi a un pubblico che si alza in piedi per lei e addirittura sorprende i quattro giurati che promuovono all’unisono la sua performance.

Tra questi ci sono Asia Argento e Fedez, per certi versi simboli di un presente alla deriva. La prima, vittima (presunta) e poi carnefice (presunta) di molestie (e per questo esclusa dal talent show), il secondo, protagonista del primo matrimonio “social networking” della storia. Due personaggi, due vite triturate fino all’osso, allegorie di un “adesso online” fatto di emozioni prêt-à-porter, di odio scriteriato e di forsennata devozione. Sui media succede anche questo. La verità è ridotta a optional discrezionale. Si può essere mostro e il giorno dopo divo da osannare. È successo ad Asia Argento e ai Ferragnez. Può succedere a chiunque indipendentemente dall’indice di popolarità. Il digitale abbatte la gerarchia dei legami a cui siamo sempre stati abituati. Viviamo in tempi e spazi orizzontali che, invece di facilitare le relazioni autentiche, spesso rischiano di appiattirle a sterili contrapposizioni.

Ma c’è un altro rischio. Si chiama “assuefazione”. ‹‹Quando niente ti ferisce››, grida Martina nella sua canzone e quando ci si trova a vivere ‹‹l’indifferenza più totale verso la forma astrale del male››. Belle parole ma vuote di significato, dirà qualcuno. Anche questa è assuefazione a ciò che può provocare anche soltanto una piccola reazione emotiva.

Dalla cherofobia si passa quindi alla paura di amare (philofobia). L’amore diventa una minaccia al nostro equiibrio e, quindi, preferiamo mettere in pratica il comportamento opposto. Hate speech, fake news e tutto il negativo che conosciamo (e di cui siamo protagonisti) nascono da un desiderio recondito e inconsapevole di auto-protezione. Il male diventa rifugio, conforto, gratificazione. Like, post, condivisioni sono le armi con cui legittimiamo la nostra presenza. Perché sono immediate, disponibili, passeggere. Non comportano alcun “farsi carico”, alcun impegno o responsabilità, alcun sogno. E ‹‹un giovane che non sa sognare››, spiega papa Francesco (in occasione della veglia di preghiera al Circo Massimo con i giovani italiani dell’11 agosto 2018), ‹‹è un giovane anestetizzato; non potrà capire la vita, la forza della vita››. Quella vita che Martina ha deciso di vivere scrivendo e cantando e contribuendo a costruire quello che il Pontefice definisce ‹‹un cammino diverso per l‘umanità››. E non importa se quel sogno si avvererà e Martina diventerà una stella della musica. Ciò che è importante è ‹‹dirti››, conclude la sua Cherofobia, ‹‹che staremo insieme, dirti che staremo bene›› - Massimiliano P., Sociologo e presidente Copercom” (Lettera pubblicata da FC n. 38 del 23 sett. 2018).

 
 
 
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