Un mondo nuovo

Vorrei dare il mio contributo


“Vorrei dare il mio contributo alla riflessione sulla condizione del migrante, e sul nostro relativo, ben educato, razzismo. Appartengo alla categoria che ora va di moda definire “migranti economici”. Ho lasciato la mia terra quando avevo 23 anni. Di paesi ne ho cambiati 6, da una parte all’altra dell’Atlantico. Ogni volta mi sono ritrovata senza affetti familiari e reti sociali di protezione. Ho dovuto imparare una nuova lingua, oltre a familiarizzare con climi, cibi e usanze diverse dal mio Paese. Ho sacrificato la mia vita personale e la stessa famiglia, perché prima c’era la ricerca di un lavoro. Sapete come si vive da migranti? Oltre alle difficoltà di adattamento, la testa se ne sta sempre altrove, a trepidare per la famiglia d’origine, con nonni e genitori che invecchiano e tu che non ci sei mai nelle occasioni importanti. E neanche per assisterli quando sono all’ospedale. Ti mancano l’affetto di chi sa leggerti negli occhi e parla la tua stessa lingua. Da ospite di un altro Paese, sei sempre un “diverso”, diviso in due, sradicato. Migrare è, prima di tutto, un grande dolore. Vorrei che riflettessimo sul vocabolario che usiamo sugli immigrati, perché spesso è intriso di un latente razzismo. “Migrante economico” è un termine che tradisce un certo disprezzo. In quella categoria annettiamo quelli che secondo noi, non hanno diritto a essere accolti, ma vanno rispediti indietro. Secondo i nostri pregiudizi, costoro sono pronti a rubare e a truffarci pur di velocizzare la loro scalata sociale. Non sono come i “profughi” che scappano dalla guerra! Quelli, sì che li prendiamo e li integriamo! Anche se poi si cominciano a fare distinzioni e si alimenta la “guerra tra poveri”, tra gli immigrati e i cittadini del posto. Non ha senso distinguere tra profugo e migrante economico: che differenza c’è scappare dalla guerra e dalle bombe o dalla fame e dalla miseria? Tutti hanno diritto a cercare una via di salvezza. Non fermeremo le migrazioni con i muri, le reti metalliche o gli atti di vandalismo dando alle fiamme e strutture di accoglienza. Come cristiani è nostro dovere allargare le braccia e disporci all’accoglienza. Non restiamo nell’indifferenza, ma mettiamoci nei panni di tanti poveri disperati. Sono persone che patiscono un dolore insopportabile. Non smarriamo il senso di umanità. Chiedo rispetto e solidarietà per tutte le mie sorelle e fratelli migranti. Lettera firmata” (FC n. 41 del 9 ott. 2015).