Un mondo nuovo

Mortara


“Mortara ha una storia familiare drammatica. Ha 29 anni. È fuggito dalla guerra afghana, nella quale ha perso la moglie e i figli. L’Italia gli ha riconosciuto lo status di rifugiato tre anni fa. Aveva bisogno di vivere in un contesto familiare dove si sentisse a casa, e una famiglia lo ha accolto, offrendo ospitalità e lavoro al ragazzo, aderendo al progetto Caritas “Rifugiati a casa mia”.  ‹‹Mortara si è stabilito subito in Cascina insieme a noi. Pasti e uscite di festa condivisi, ma anche il quotidiano passato insieme, cercando di far elaborare a Mortara la tragedia che aveva sopportato. Ha funzionato: piano piano il ragazzo era diventato uno di famiglia. Il programma Caritas richiedeva una convivenza molto stretta, più concreta, anche perché l’integrazione della persona nel tessuto sociale dove vive e lavora è l’obiettivo del progetto. Fino a un paio di mesi fa, Mortara faceva progetti per il futuro. Immaginava di comprare un’automobile, una casa, cominciare un’esistenza nuova, dopo tanta sofferenza. Era bello sentirlo parlare di sogni. Poi, all’improvviso, qualcosa è cambiato, si è come spezzato. Mortara ha cominciato a rivivere la rabbia di quello che gli è accaduto. Oggi ce l’ha con tutto il mondo. È caduto in una depressione a tratti profonda. Noi gli siamo vicini, e lui continua a vivere con noi. ma rifiuta ogni contatto umano e sociale, e non riesce a farsi aiutare. Non vuole reagire. Abbiamo provato a dirgli che ha bisogno di un percorso terapeutico, ma non ne vuole sentire parlare. Noi stiamo aspettando, sperando che si lasci aiutare. Pur con le grandi difficoltà di questi ultimi mesi, dico che non ci si deve affidare solo al buon cuore nell’accoglienza. I problemi ci sono, una famiglia viene destabilizzata, niente deve ritenersi scontato. Occorre una lunga e meditata formazione, che noi abbiamo affrontato con il Consorzio Farsi Prossimo. È molto utile anche la condivisione con le famiglie che hanno già accolto per non sentirsi soli se insorgono problemi. Il bene non s’improvvisa, anche perché si può far del male alla propria famiglia, ma anche alla persona che viene accolta››” (Daniela P., Scarp de’ tenis, dic.2015-genn.2016).