Un mondo nuovo

Da Dostoevskij a Sturzo


2017, Tempi Febbraio 28,  Gennaro Sangiuliano Populismo. Da Dostoevskij a Sturzo, da Ortega y Gasset a Del Noce. La gente chiede legami, non formule. Lezioni di emergenza per democrazie scricchiolanti. Nel delineare le ragioni del nichilismo europeo Martin Heidegger fa ricorso a due giganti russi, in particolare riprende il discorso di Dostoevskij su Pusˇkin del 1880, laddove lo scrittore cita il poeta nell’analisi del rapporto fra élite oligarchica e popolo. Pusˇkin identifica quello che chiama ceto dell’intelligencija, che «crede di stare di gran lunga al di sopra del popolo», responsabile di aver alimentato una «società sradicata, senza terreno», e ne censura il comportamento «svincolato dalla terra del nostro popolo». Leggendo quel testo Dostoevskij appare come un simpatizzante del populismo, che infatti è un movimento che si palesa per la prima volta in Russia nella seconda metà del XIX secolo (narodnicˇestvo).Oggi populismo è una parola “malfamata” che sui giornali e nel lessico politico sta diventando un’etichetta dietro la quale vengono connotati fenomeni politici molto diversi fra loro. La crisi economica dell’Occidente, la perdita di quelle certezze che hanno accompagnato oltre mezzo secolo di benessere economico e sociale, hanno fatto di nuovo del populismo un protagonista, un attore in campo della politica europea, e non solo se pensiamo al fenomeno Trump. Un fantasma che riappare come la risposta, piaccia o no, alle angosce della globalizzazione. Nella pubblicistica italiana il termine populismo esprime tout court un connotato negativo, assimilato all’estremismo e alla demagogia. A priori c’è un giudizio di valore che ne coglie il tratto qualunquistico, sottolineandone quella prassi che punta alla banalizzazione estrema delle questioni al fine di riscuotere facili approvazioni. C’è un populismo di destra, in Francia, in Gran Bretagna, nell’Est europeo, c’è un populismo di sinistra, in Spagna e Grecia. Un atteggiamento che si traduce sul terreno politico nella pura protesta, nel risentimento più viscerale, nell’aggressività. Oggi, il populismo sembra aver trovato un nuovo fertile terreno nella piazza telematica, un moltiplicatore nella rete, dove la sintesi estrema riassume i concetti in nette parole d’ordine.Tuttavia, la liquidazione del populismo secondo quest’accezione prevalente non appare esauriente, non risulta capace di afferrare il senso delle dinamiche in atto, soprattutto i suoi detrattori spesso si muovono con un atteggiamento di spocchiosa sufficienza non meno faziosa di quella dei populisti. Se i populisti possono risultare grossolani, gli antipopulisti – si pensi alla gauche caviar, radical chic – oltre la coltre di abusate convenzioni culturali, sono privi di un bagaglio di conoscenze adeguate e procedono per categorie di pensiero ipocrite e consunte mai sottoposte ad alcun vaglio critico. C’è uniformità ideologica tra il tipo umano che abita nell’Upper West Side di Manhattan, ai Parioli a Roma, a via Montenapoleone o via della Spiga a Milano, nei primi arrondissement di Parigi, a Kensington e Chelsea nel West End di Londra, meglio noto come royal district, nel centro di Berlino. Il tipo che ha votato per Hillary Clinton alle presidenziali americane, che si è dichiarato per il Remain e contro la Brexit, che ha votato “sì” al referendum costituzionale italiano. Dispone di un reddito elevato, lavora quasi sempre nell’economia dei servizi, non produce nulla, alcun oggetto, disprezza chi lavora con manualità, utilizza con maestria la leva finanziaria. Usa termini inglesi anche quando non è necessario, mangia il sushi, spesso è vegano, si dice ecologista, salvo inquinare le periferie, mondialista e demolitore del passato. Soprattutto è intollerante verso chi ha idee diverse dalle sue perché il “politicamente corretto” è un totem che non ammette eresie.........