Un mondo nuovo

Un paese che accoglie


“Una sera di marzo del 2014, una camionetta della polizia scarica 15 giovani maliani a Pettinengo, 1500 anime, sulle colline sopra Biella. Il giorno dopo, le mamme tengono in casa i figli. Nella villa, in cima al paese, erano arrivati i neri e alle famiglie del posto non sembrava prudente mandarci a giocare i bambini. da allora, sono passati 2 anni, Mamadou, che faceva parte di quel gruppo di richiedenti asilo, oggi è amico di tutti.Il mestiere per il quale è apprezzato anche dai vecchi è quello di apicoltore e glielo ha insegnato Massimo Capellupo, 43 anni, che grazie agli stranieri si è reinventato un lavoro.Mamadou, che oggi ha 34 anni, e che nel frattempo ha ottenuto il permesso di soggiorno come rifugiato politico, sorride a tutti: ‹‹Quando sono partito sognavo di vivere in una grande città, non certo in un paese di montagna. Ma qui ho imparato a curare le arnie, a indovinare il momento esatto in cui raccogliere il miele e nel tempo che mi avanza posso fare anche qualche lavoretto extra: rovesciare il fieno, sistemare l’orto per i contadini. Ho trovato nuovi amici. E sto benone››.Massimo, invece, ha ripreso in mano la sua vita: ‹‹Senza lavoro, con un divorzio alle spalle e 3 figli da mantenere non era difficile uscire di brocca. Mamadou mi ha aiutato a rimanere in carreggiata››.Il segreto del successo di Pettinengo sta nell’utilizzare i soldi pubblici per l’accoglienza dei profughi per un intervento sociale a vantaggio della comunità, conciliando gli interessi apparentemente opposti dei disperati senza speranza, gli italiani impauriti che non ci credono più, e i disperati per troppa speranza, gli stranieri spinti dall’illusione di trovare un paradiso in Europa. ‹‹La crisi qui ha fatto piazza pulita anche di ciò che ancora rimaneva dell’industria tessile. Ma il peggio sembra essere passato: gli stranieri non solo hanno rimesso in moto l’economia locale, ma hanno portato nuove energie››, spiega Ermanno M., il sindaco (Scarp de’ tenis, agosto-settembre 2016).