“Forse, sotto quest’articolo ci sono degli insulti. Ma solo se lo state leggendo su Facebook e su Twitter. Guardiamo il telefono duecento volte al giorno. Ed è quasi impossibile resistere alla tentazione di commentare l’ultimo tweet, l’ultimo post, l’ultimo articolo letto su un sito. I commenti online come li abbiamo conosciuti fino ad oggi sono morti, ha scritto il Guardian, raccontando il lavoro di Andrew Losowsky e del Coral Project, che insieme al Washington Post, al New York Times e a Mozilla stanno cercando di ridefinire il futuro dell’interazione con i lettori sul web. ‹‹La parola “commento” è diventata sinonimo di insulto, aggressione verbale, per lo più da parte di giovani maschi bianchi, e di mancanza di rispetto, compassione ed empatia”››. Sempre sul Guardian, il direttore di un sito musicale britannico racconta di aver tolto i commenti perché era ‹‹come avere un negozio, e ogni mattina, all’apertura, dover andare fuori a cancellare una valanga di scritte offensive sulla saracinesca e sul muro››. Scritte spesso razziste, sessiste, omofobe. Se c’è una cosa che ha sempre distinto i giornali online da quelli di carta è la possibilità di dialogare e confrontarsi con i lettori, di coinvolgerli, di arricchire i contenuti con i loro contributi. Ma togliere i commenti dal sito (una decisione che Internazionale ha preso nel 2014) è spesso inevitabile: la moderazione occupa tempo e sottrae energie, un impegno che difficilmente le piccole redazioni online possono permettersi. Però confinare i commenti su Facebook o su Twitter non è la soluzione migliore, perché significa rinunciare a un rapporto diretto con i lettori e perché sui social network i commenti sono spesso più impulsivi e basati solo sul titolo o sulle prime righe di un articolo. Intanto, alcuni sperimentano nuove soluzioni. Una delle più semplici è aprire i commenti solo alcuni giorni dopo che un articolo è stato pubblicato, per consentirne una lettura ragionata e interventi meditati. Lo fa il collettivo di scrittori Wu Ming sul suo sito, e sembra funzionare” (Giovanni De Mauro, Internazionale n. 1140 del 12 febbr. 2016).
Forse sotto questo articolo
“Forse, sotto quest’articolo ci sono degli insulti. Ma solo se lo state leggendo su Facebook e su Twitter. Guardiamo il telefono duecento volte al giorno. Ed è quasi impossibile resistere alla tentazione di commentare l’ultimo tweet, l’ultimo post, l’ultimo articolo letto su un sito. I commenti online come li abbiamo conosciuti fino ad oggi sono morti, ha scritto il Guardian, raccontando il lavoro di Andrew Losowsky e del Coral Project, che insieme al Washington Post, al New York Times e a Mozilla stanno cercando di ridefinire il futuro dell’interazione con i lettori sul web. ‹‹La parola “commento” è diventata sinonimo di insulto, aggressione verbale, per lo più da parte di giovani maschi bianchi, e di mancanza di rispetto, compassione ed empatia”››. Sempre sul Guardian, il direttore di un sito musicale britannico racconta di aver tolto i commenti perché era ‹‹come avere un negozio, e ogni mattina, all’apertura, dover andare fuori a cancellare una valanga di scritte offensive sulla saracinesca e sul muro››. Scritte spesso razziste, sessiste, omofobe. Se c’è una cosa che ha sempre distinto i giornali online da quelli di carta è la possibilità di dialogare e confrontarsi con i lettori, di coinvolgerli, di arricchire i contenuti con i loro contributi. Ma togliere i commenti dal sito (una decisione che Internazionale ha preso nel 2014) è spesso inevitabile: la moderazione occupa tempo e sottrae energie, un impegno che difficilmente le piccole redazioni online possono permettersi. Però confinare i commenti su Facebook o su Twitter non è la soluzione migliore, perché significa rinunciare a un rapporto diretto con i lettori e perché sui social network i commenti sono spesso più impulsivi e basati solo sul titolo o sulle prime righe di un articolo. Intanto, alcuni sperimentano nuove soluzioni. Una delle più semplici è aprire i commenti solo alcuni giorni dopo che un articolo è stato pubblicato, per consentirne una lettura ragionata e interventi meditati. Lo fa il collettivo di scrittori Wu Ming sul suo sito, e sembra funzionare” (Giovanni De Mauro, Internazionale n. 1140 del 12 febbr. 2016).