Un mondo nuovo

Una storia iniziata


Una storia iniziata il 2 gennaio 2018, con una bicicletta. Da un piccolo paese con poco più di 3.000 abitanti, Castelnuovo Don Bosco, in provincia di Asti, mio fratello Filippo, ingegnere aerospaziale, laureatosi al Politecnico di Torino nel 2013, e ospite del collegio San Giuseppe durante i suoi studi, è partito per il viaggio più importante della sua vita. Non penso sappia che vi sto scrivendo, ma questa storia è ancora in corso.Da Castelnuovo è passato per Alba, ha proseguito per Santo Stefano al Mare, per continuare poi lungo tutta la costa francese e spagnola, e prendere il traghetto che lo avrebbe portato in Marocco. Da lì, sempre in bicicletta, ha proseguito per la Mauritania, il Senegal, la Guinea Bissau, la Sierra Leone, la Liberia, la Costa d’Avorio fino ad arrivare, con molta calma e serenità, dov’è ora, in Camerun, passando anche per la Nigeria, con l’obiettivo di arrivare alle coste del Sud’Africa. Grazie al nostro don Bosco, è stato più volte ospitato presso le strutture salesiane africane che ha incontrato lungo la sua strada. Un’esperienza preziosa, pur nell’impossibilità di paragonarlo al “viaggio al contrario”, l’ha portato a sentirsi l’altro, lo straniero, che si è messo in discussione come una volta nella vita dovremmo fare tutti. Come sostiene anche lui, la non conoscenza porta istintivamente a chiudere le porte, a minimizzare i contatti. L’esercizio sta proprio nel provare l’opposto, ad aprirsi e ad accogliere. Questo è proprio il segreto della felicità. Si può sopravvivere di quello che si riceve, ma si vive di quello che si può donare. Questa è una grande lezione di Mamma Africa. Ecco uno dei suoi ultimi post pubblicati sulla sua pagina A-Roun About (https://m.facebook.com/aroundabout2018). ‹‹Sono su una nave che mi sta accompagnando fuori dalla Nigeria, verso nuovi mondi. E ho una parola in mente: accoglienza. Di cosa necessita una persona che arriva in un luogo a lui sconosciuto, da una situazione difficile, magari con un lungo viaggio alle spalle? Probabilmente ha fame, deve riposare, o ha freddo. Ma soprattutto ha bisogno di qualcuno che gli scaldi il cuore, magari che gli rivolga la parola e gli regali un sorriso. Non voglio assolutamente paragonare la mia esperienza con il viaggio che migliaia di anime intraprendono verso un nuovo mondo e una nuova speranza su camion derelitti e barche fatiscenti. Eppure, nel mio piccolo e per pochi giorni soltanto, ho percepito per la prima volta, nella mia fortunata vita, cosa voglia dire sentirsi esclusi, essere l’altro, senza un’apparente ragione, se non magari il colore della pelle. Ho cercato lo scambio, ho inviato sorrisi. Bianco. Sono stato allontanato e mi hanno urlato contro. Nero. E ho provato freddo al cuore. L’unico modo che ho per proseguire nel viaggio è attraverso l’accoglienza, sentendomi benvoluto e mai abbandonato. Umanità. È sempre stato così nei miei giorni africani, dove siamo tutti uomini, tutti uguali. Questa magia si è interrotta per pochi giorni, ma già ora ha ripreso a funzionare. Pochi giorni sono stati sufficienti per mostrarmi la necessità dell’accoglienza, per poter essere tutti umani e sentirsi tutti insieme in questo mondo›› - Martina (Lettera pubblicata da FC n. 7 del 17 febbr. 2019).